Roma , venerdì, 24. marzo, 2023 18:00 (ACI Stampa).
Thomas More, Tommaso Moro, il grande statista, il migliore e più fidato consigliere del re d’Inghilterra, ora è richiuso in prigione, nella famigerata Torre di Londra, in attesa di giudizio, un giudizio che sarà terribile: sarà giustiziato, decapitato. Il fatto è che non accetta le decisioni prese da Enrico VIII, non può sottoscrivere il suo divorzio e tutto quello che ne sta nascendo, fino allo scisma della Chiesa d’Inghilterra dalla Chiesa cattolica. Non può piegarsi alle volontà del suo signore, risponde prima di tutto alla propria coscienza e sa che dovrà pagare un prezzo altissimo, fino al martirio. E sarà canonizzato e proclamato patrono dei governanti e politici. Uomo di cultura, scrittore, ironico e benevolo, molto amato, sia nella sua numerosa famiglia – sei figli, di cui due adottati , madri, matrigne -che dagli amici che lo stimano e gli vogliono bene, basti pensare a Erasmo da Rotterdam, chiamato alla più alta carica del Regno d’Inghilterra, eccolo, nel giro di poco tempo, chiuso in carcere, gettato nella polvere, condannato ad una morte crudele.
In questa situazione, nel momento più doloroso della sua esistenza comincia a scrivere una serie di riflessioni intorno alla Passione di Gesù Cristo, intuendo che forse non avrà il tempo di finirle. E così sarà. "Salì al monte a pregare, per insegnarci che, quando preghiamo, dobbiamo distaccarci dal tumulto delle cose terrene per volgere lo sguardo a quelle celesti. Ma il monte Oliveto – coltivato a ulivi – ha in sé anche un suo arcano significato. Il ramo di ulivo era comunemente simbolo di pace: quella pace che Cristo sarebbe venuto a portare fra gli uomini, ricomponendo il lungo dissidio che li separava da Dio. E inoltre, l’olio, spremuto dall’oliva, simboleggia l’unzione dello Spirito che Cristo, ricongiunto col Padre, avrebbe mandato ai discepoli, perché li rendesse capaci di affrontare quelle cose che solo un istante prima di quell’unzione non sarebbero stati in grado di reggere". Lo scrive in quest’opera che si intitolerà 'Nell’orto degli ulivi' pubblicata postuma e iniziata nel 1534, durante la prigionia, e che ora viene ripubblicata dalle Edizioni Ares. L’opera si può considerare il testamento spirituale di una persona che vive il tempo della prova come un momento di più intima comunione con Cristo, identificandosi, fino dove possibile, con Gesù che prega e suda sangue nell’orto degli ulivi, il quale appunto non si sottrae alla prova più terribile, l’assume totalmente e così ci salva. Mostrandoci che l’angoscia, la paura, si possono sconfiggere. Nel Getsemani Gesù prega a lungo e soffre, provando un’angoscia senza fine. Prova Lui, vero Dio e vero uomo, le sofferenze umane che a volte sembrano insopportabili, impossibili da sostenere.
""Che uomo completo!", ebbe a dire Pio XI nel canonizzarlo nel 1935. Qualche anno prima, nel 1929, G.K. Chesterton aveva scritto che Thomas More "è oggi più importante di quanto non lo sia stato in qualunque altro momento dalla sua scomparsa fino a ora, forse perfino di più che nel grandioso momento della sua morte; ma non è ancora così importante come lo sarà tra cent'anni", come scrive Carlo De Marchi nel suo Invito alla lettura che introduce il testo di Moro. Ed è effettivamente questa la sensazione che produce nel lettore: parole chiare, scorrevoli, che con lucidità affronta le questioni fondamentali della fede e della nostra stessa esistenza, indicando le manchevolezze e i limiti che noi, spesso e volentieri, ci ostiniamo a sottovalutare, a non vedere.