Bagdad , lunedì, 20. marzo, 2023 14:00 (ACI Stampa).
L’auspicio è che la causa di beatificazione prosegua spedita, per il vescovo Paul Faraj Rahho. Ed è una causa importante, perché si tratta del riconoscimento di un martirio, dunque di una beatificazione che non ha bisogno di un miracolo. E martire, per la sua gente, il vescovo Paul Faraj Rahho, arcivescovo di Mosul trovato morto 13 marzo 2008, lo era davvero.
Lo ha sottolineato il Cardinale Raphael Sako, patriarca dei Caldei, celebrando una Messa in suffragio del suo confratello vescovo, uno dei tanti martiri iracheni che ci sono stati nel corso degli ultimi 16 anni. Perché è vero che in Iraq la stagione delle violenze e del martirio era venuta durissima, e mediaticamente esposta, dopo l’invasione della Piana di Ninive da parte del sedicente Stato Islamico.
In realtà, però, i cristiani sperimentavano forme diverse di martirio già da dopo la Seconda Guerra del Golfo del 2003, e infatti in quegli anni cominciò l’inesorabile esodo nascosto dal Medio Oriente, mentre chiese e cristiani vengono attaccati.
Un anno prima della morte dell’arcivescovo Rahho, era stato padre Ragheed Ganni a finire ammazzato brutalmente, insieme a tre catechisti. E recentemente in Iraq si è chiusa la fase diocesana per la beatificazione di 48 martiri uccisi in un attacco terroristico alla chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Baghdad nel 2010.
L’arcivescovo Rahho fu rapito il 29 febbraio 2008, quando una banda armata attaccò l’auto dove viaggiava, sparò alle gomme, uccise l’autista e due suoi collaboratori e lo rapì.