Il fariseo, nota Papa Francesco, “sta in piedi, è sicuro di sé, ritto e trionfante come uno che debba essere ammirato per la sua bravura”, e così facendo non prega Dio, ma piuttosto “celebra se stesso”. Ha una preghiera ineccepibile, ma “invece che aprirsi a Dio portandogli la verità del cuore, maschera nell’ipocrisia le sue fragilità”, e “non attende la salvezza del Signore come un dono, ma quasi la pretende come un premio per i suoi meriti”.
Al contrario del fariseo che va in prima fila, il fariseo “sta a distanza”, non “cerca di farsi largo”, e così “manifesta il suo essere peccatore rispetto alla santità di Dio”, ma proprio a causa di quella distanza può “fare l’esperienza dell’abbraccio benedicente e misericordioso del Padre”.
Insomma, nota Papa Francesco, “Dio può raggiungerlo proprio perché, restando a distanza, quell’uomo gli ha fatto spazio”.
Questo è vero, chiosa il Papa, in tutte le relazioni, perché “c’è vero dialogo quando sappiamo custodire uno spazio tra noi e gli altri, uno spazio salutare che permette a ciascuno di respirare senza essere risucchiato o annullato”.
Esclama Papa Francesco: “”Il Signore viene a noi quando prendiamo le distanze dal nostro io presuntuoso. Egli può accorciare le distanze con noi quando con onestà, senza infingimenti, gli portiamo la nostra fragilità. Ci tende la mano per rialzarci quando sappiamo ‘toccare il fondo’ e ci rimettiamo a Lui nella sincerità del cuore”.
Dio, aggiunge il Papa, “ci aspetta in fondo, perché in Gesù Lui ha voluto andare in fondo, occupare l’ultimo posto, facendosi servo di tutti. Ci aspetta in fondo, perché non ha paura di scendere fin dentro gli abissi che ci abitano, di toccare le ferite della nostra carne, di accogliere la nostra povertà, i fallimenti della vita, gli errori che per debolezza o negligenza commettiamo”.
Ed è specialmente nel “sacramento della confessione che Dio ci aspetta in fondo”. Per questo, il Papa esorta a non nascondersi “dietro l’ipocrisia delle apparenze, ma affidiamo con fiducia alla misericordia del Signore le nostre opacità, i nostri errori, le nostre miserie”.
“Quando ci confessiamo – spiega - ci mettiamo in fondo, come il pubblicano, per riconoscere anche noi la distanza che ci separa tra ciò che Dio ha sognato per la nostra vita e ciò che realmente siamo ogni giorno. E, in quel momento, il Signore si fa vicino, accorcia le distanze e ci rimette in piedi; in quel momento, mentre ci riconosciamo spogli, Lui ci riveste con l’abito della festa.”
Per questo, la riconciliazione è “un incontro di festa, che guarisce il cuore e lascia la pace dentro; non un tribunale umano di cui aver paura, ma un abbraccio divino da cui essere consolati”.
Il Papa invita infine a pregare:
“Dio abbi pietà di me peccatore. Quando mi dimentico di Te o ti trascuro, quando alla tua Parola antepongo le mie parole e quelle del mondo, quando presumo di essere giusto e disprezzo gli altri, quando chiacchiero degli altri, o Dio, abbi pietà di me, peccatore. Quando non mi prendo cura di chi mi sta accanto, quando sono indifferente a chi è povero e sofferente, debole o emarginato, o Dio, abbi pietà di me, peccatore. Per i peccati contro la vita, per la cattiva testimonianza che sporca il bel volto della Madre Chiesa, per i peccati contro il creato, o Dio, abbi pietà di me, peccatore. Per le mie falsità, le mie disonestà, la mia mancanza di trasparenza e legalità, o Dio, abbi pietà di me, peccatore. Per i miei peccati nascosti, per il male che anche senza accorgermi ho procurato ad altri, per il bene che avrei potuto fare e non ho fatto, o Dio, abbi pietà di me, peccatore”.
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