Roma , venerdì, 17. marzo, 2023 18:00 (ACI Stampa).
Il silenzio come dimensione interiore, che soprattutto nel periodo della Quaresima si trasforma in territorio libero e fecondo in cui può risuonare la Parola dell’Altissimo; il silenzio che purifica e rende più liberi. Il silenzio che desidera solo irrompere in noi e trasfigurarci.
Alla dimensione del silenzio è strettamente connessa quella dell’eremo, naturalmente. L’eremo, prima ancora di essere un luogo, uno spazio fisico, è una scelta e una condizione interiore da sperimentare, conoscere e coltivare per vivere in serenità il tumulto e i cambiamenti della vita quotidiana. L’eremo è il luogo di vita e attività del monaco eremita: di colui che –inizialmente da solo, secondo la tradizione dei Padri del Deserto– si ritira dal mondo per incontrare realmente Dio. E gli altri, in una prospettiva inedita, più sincera, più reale.
Come racconta nell’ultimo libro pubblicato dal titolo 'Il silenzio nella città', a partire da quel che si vive nell’Eremo del Silenzio di Torino, di cui l’auotre è uno dei fondatori, che ha sede in un ex carcere ed è luogo di accoglienza, luogo di silenzio per vivere l’eremitaggio singolarmente e comunitariamente pur nel caos urbano.
Eremita non è solo il monaco (dal greco dal greco mónachos = unico, solo) o l’anacoreta (dal greco anachoretes = ritirarsi) che vive continuativamente in un luogo fisicamente appartato. L’eremita è da sempre, e soprattutto oggi, colui che impara uno stile di vita interiore e lo coltiva anche nel tumulto della vita quotidiana e del caos di una grande città.
Questa ricerca dell’eremo non è vissuta come fuga dal mondo, ma come luogo di silenzio per fare verità su di sé con la quiete e la preghiera. Una “rete” potente e forte, quella della preghiera che si intreccia tra monaci, eremiti e tutti coloro che vi si avvicinano e li frequentano. Un eremo è anche oggi un luogo ricercato da uomini, donne e giovani che in tante parti del mondo e in vari modi vogliono sperimentare per un periodo o per sempre la vita dell’eremita. Una condizione, dunque, che si può vivere in tante modalità diverse, perfino dentro una città, una metropoli. Si stanno moltiplicando, infatti, le esperienze come quella di Torino. "Anche la città può dotarsi di luoghi, tempi, persone che possono favorire il percorso interiore di maturazione per ritrovare e custodire la propria vocazione", scrive nella Prefazione monsignor Marco Arnolfo, arcivescovo di Vercelli. E così, a poco a poco, è cresciuta la cerchia di uomini e donne che vivono questa condizione dentro le nostre città, insieme a coloro che scelgono nuovamente la dimensione dell’eremitaggio nei boschi, nelle campagne, in luoghi isolati, ma aperti all’accoglienza agli altri, pronti a condividere la loro esperienza di preghiera e di meditazione, così come uno stile di vita semplice, autentico, liberato dall’imperativo categorico dell’accumulo e del possesso.
Dinanzi ai dati impietosi che mostrano come negli ultimi anni si sia registrato un continuo calo delle vocazioni nel mondo emergono però prospettive sorprendenti. Vocazioni nuove per strade più ardue: la clausura, la contemplazione, la povertà. In controtendenza, dunque, aumentano le scelte di una vita contemplativa. In totale, secondo gli ultimi dati disponibili, per quel che riguarda le religiose in particolare, sono quasi 34mila in tutto il mondo, concentrate principalmente in Europa, in particolare in Italia e Spagna. Ma gli ordini monastici di clausura ora si stanno diffondendo in altri continenti, soprattutto in Asia, Africa e America Latina. Tra questi ordini quello delle carmelitane scalze risulta ancora il più numeroso, i loro monasteri si trovano in 98 Paesi e contano oltre 11mila religiose. Si sono poi costituite nuove comunità, come quella formata nel convento di Santa Veronica ad Algezares (nella Murcia spagnola), una comunità dell’Ordine delle Sorelle Povere, appartenente alla famiglia francescana: 13 suore, in buona parte giovani e molto motivate.
Il libro si Nervo si chiude con la lettera proprio di una religiosa, suor Cristina Cattaneo, priora del monastero di vita contemplativa Cottolenghino San Giuseppe di Torino. Nelle sue righe suor Cristina spiega che l’eremitaggio urbano sono luoghi in cui si può concretizzare il desiderio più profondo dell’uomo, soprattutto del cuore inquieto dell’uomo contemporaneo, il vero 'sentiero di luce'. Anche perché questa clausura è avvolta in un silenzio nel rumore, 'un silenzio che non fa notizia, che non attrae', che non è “trendy”. Anche se per la verità oggi si fa un gran parlare di silenzio, il che è già una contraddizione in termini. Il silenzio “si fa”, si vive. 'Il silenzio unito alla preghiera diviene forza di intercessione, una forza potente', scrive ancora suor Cristina. Una traccia da seguire, soprattutto in questo tempo di purificazione, il tempo di una Quaresima in tempi così travagliati come quelli che stiamo vivendo.