Al momento, Papa Francesco ha compiuto 40 viaggi internazionali. C’è sempre curiosità, tuttavia, per quella che sarà la meta del prossimo viaggio. Ci sarà Budapest dal 28 al 30 aprile, ed è scontato che il Papa sarà a Lisbona per la Giornata Mondiale della Gioventù ad Agosto. Si parla già, però, di un viaggio del Papa in Mongolia, da dove arriverebbe direttamente da Marsiglia, Francia.
Funzionerebbe così: il Papa andrebbe a Marsiglia per partecipare all’incontro dei vescovi del Mediterraneo, e poi da lì andrebbe direttamente in Mongolia, là dove nessun Papa è andato finora.
Così impacchettato, il viaggio mostrerebbe due criteri cardine di Papa Francesco nella scelta delle nazioni da visitare. Il primo: non andare in nazioni che hanno già un loro peso. Il Papa non andrà in Francia, ma a Marsiglia, senza passare dalla capitale, mettendo così in luce che il passaggio in territorio francese sarà solo per un evento. Era successo così anche nel 2014, quando Papa Francesco andò a Strasburgo per visitare il Consiglio d’Europa.
Il secondo criterio: privilegiare le nazioni piccole, andando là dove c’è bisogno di Dio.
La Mongolia è una nazione mai visitata da un Papa prima, ed ha un gregge cattolico molto piccolo. Non a caso, il Papa ha voluto creare cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaan Bator, a segnalare una particolare predilezione per il Paese che, tra l’altro, si trova al confine con la Cina.
Papa Francesco, poi, ha sempre voluto che i viaggi avessero un particolare significato di dialogo. In Europa, le scelte dei luoghi sono quasi sempre ricadute su posti dove i cattolici sono minoranza: Bulgaria, Romania e Macedonia del Nord nel 2019, i Paesi Baltici nel 2018 (dove solo la Lituania è in maggioranza cattolica), Grecia e Cipro nel 2021, la Svezia nel 2016, e la visita al Consiglio Mondiale delle Chiese nel 2018.
Sono scelte di campo precise, che prevedono proprio l’apertura di processi. La visita in Bulgaria, per esempio, fu anche occasione di un incontro con la Chiesa Ortodossa Bulgara, che non partecipa neanche alla Commissione Teologica Mista Cattolica Ortodossa.
La mediazione della Santa Sede
Cuba è diventata il luogo di due dei successi più importanti del pontificato: l’incontro con Kirill, ma anche il luogo da cui arrivare negli Stati Uniti, a simboleggiare quella riapertura delle relazioni diplomatiche di cui la Santa Sede si è fatta facilitatore. E lo ha potuto fare in nome dei 75 anni di relazioni diplomatiche ininterrotte con la isla e in nome del grande lavoro fatto nei tempi passati. Niente nella Chiesa accade all’improvviso, tutto è frutto di un lungo lavoro.
Così, dai viaggi si arriva a capire il lavoro diplomatico.
Cuba è il segno di un nuovo impulso alle mediazioni pontificie, che hanno operato finché è stato possibile in Venezuela su diretta richiesta delle parti in causa, ma anche in Nicaragua, dove ora la linea diplomatica sembra essere quella di rimanere un passo indietro. La decisione di non nominare un nuovo nunzio, dopo l’espulsione improvvisa da Managua dell’arcivescovo Waldemar Sommertag, va nella direzione di non dover dialogare con il governo di Managua per il gradimento di un diplomatico, pur mantenendo una presenza nel Paese.
La linea del dialogo è stata applicata anche nei difficili rapporti con la Cina. Papa Francesco ha voluto un accordo per la nomina dei vescovi, firmato nel 2018 e rinnovato già due volte per due anni. Finora, solo sei vescovi sono stati nominati dopo l’accordo, mentre Pechino sembra voler spingere sempre più le religioni (e non solo il cattolicesimo) ad un processo di cosiddetta “sinicizzazione”.
Iscriviti alla nostra newsletter quotidiana
Ricevi ogni giorno le notizie sulla Chiesa nel mondo via email.
Nell'ambito di questo servizio gratuito, potrete ricevere occasionalmente delle nostre offerte da parte di EWTN News ed EWTN. Non commercializzeremo ne affitteremo le vostre informazioni a terzi e potrete disiscrivervi in qualsiasi momento.
La linea, però, è di avere prima di tutto un accordo, anche se non perfetto, per poter avere una base su cui trattare.
Le guerre nel mondo
Il criterio del dialogo ad ogni costo è stato alla base degli sforzi diplomatici del Papa sulla guerra in Ucraina. La Santa Sede ha seguito la situazione a Kyiv sin dalle proteste di Majdan del 2014. Papa Francesco ha addirittura lanciato una colletta speciale, il Papa per l’Ucraina, mentre nel 2019 ha voluto ci fosse un incontro interdicasteriale in Vaticano con il Sinodo e i vescovi della Chiesa Greco Cattolica Ucraina.
Papa Francesco ha però voluto mantenere aperti i canali con Mosca, tanto che il suo primo istinto, allo scoppio della guerra, è stato quello di andare personalmente all’ambasciata della Federazione Russa per cercare di parlare con il presidente Vladimir Putin.
Papa Francesco ha poi più volte sottolineato che sono molti i territori impegnati in quella che lui chiama “una guerra mondiale a pezzi”. L’Iraq, che ha visitato personalmente nel 2021; lo Yemen, spesso citato dal Papa; la Siria, il cui nunzio è stato creato dal Papa cardinale.
La diplomazia della preghiera