Padova , venerdì, 3. febbraio, 2023 18:00 (ACI Stampa).
Albeggia, in una Padova già oppressa dalla calura estiva. Sono le cinque del mattino, nella sua cella del convento a Santa Croce padre Leopoldo Mandic si alza faticosamente dal letto. Sta male, sa da tempo che si trova sull’orlo della sua esistenza terrena. Ma è sereno, come sempre. Vuole celebrare la messa e, come sempre, si prepara con un’intensa preghiera. Comincia a preparare i paramenti sacri ma perde conoscenza e crolla sul pavimento. Lo soccorrono e lo riportano in cella, sul letto. Cominciano alcune ore di agonia, che si concludono con la preghiera che mormora con voce sempre più flebile, la Salve Regina, invocazione alla sua amata Parona, come la chiama lui.
E’ il 30 luglio 1942, sono le ultime ore di vita terrena del piccolo frate che diventerà san Leopoldo. E così la descrive, con grande partecipazione e commozione, anche l’ultima biografia a lui dedicata, appena pubblicata dalla Ares e scritta da Pina Baglioni. Del resto, la sua morte è avvenuta in piena coerenza con la sua esistenza, tutta spesa, donata, agli altri. Soprattutto attraverso il sacramento della penitenza, che ha definito e realizzato la sua vocazione. Il giorno prima, infatti, il 29 luglio, il frate cappuccino lo passa a confessare, una cinquantina di persone, nella cella del convento di Padova, nonostante la sofferenza provocata dal tumore all’esofago che lo sta letteralmente consumando. Nel convento dei cappuccini di Padova, per più di trent’anni, vive, prega, ama tutti coloro con cui entra in contatto, in particolare quelli che vengono confessarsi in quella una microscopica celletta che il 14 maggio del 1944 – durante la seconda guerra mondiale – viene miracolosamente risparmiata dai bombardamenti, come lo stesso santo aveva profetizzato tempo addietro.
La vita di Bogdan Ivan Mandic, al secolo Leopoldo, è tanto semplice da risultare complicata da descrivere, avverte l’autrice. Non ci sono da raccontare fatti eclatanti, avventure, viaggi straordinari, vicende mirabolanti. Eppure proprio questa esistenza suggellata, si potrebbe dire, dal nascondimento, rappresenta un segno concreto di come Dio scelga le situazioni più sfuggenti ai nostri canoni schematici e perlopiù illusori per mostrare la Sua presenza nel mondo. Nasce a Castelnuovo di Cattaro (oggi nel Montenegro) il 12 maggio 1866. Un luogo suggestivo e amato, sempre presente nella sua geografia interiore. La sua è una famiglia di nobili ascendenti, ma caduta in povertà. Ed è in famiglia, come bene sottolinea Pina Baglione, che la fede mette radici in quel ragazzino gracile e riflessivo, ma anche sempre pronto a giocare e a vagabondare con i numerosi fratelli e amici. Viene ordinato sacerdote il 20 settembre 1890 nell’ordine dei cappuccini come fra Leopoldo. Causa l’esile costituzione fisica e un difetto di pronuncia, non riesce dedicarsi alla predicazione e alla missione, come avrebbe fervorosamente desiderato. Diventa confessore, soprattutto dopo essere arrivato nel convento di Padova, presto si guadagna l’affetto della gente e presto lo si considera un santo. La beatificazione avviene nel 1976 da papa Paolo VI e poi canonizzato da Giovanni Paolo II nel 1983. Una vita, la sua, vissuta nel segno, oltre che della misericordia e della compassione, anche dell’umiltà e dell’obbedienza, dell’offerta di ogni sofferenza, da quelle spirituali a quelle fisiche. Lui che confessa in dialetto veneto e non rifiuta nessuno, ma viene preso in giro per la bassa statura e per la sua persona così fragile e dimessa. Lui che poi è diventato un gigante della fede e un simbolo della missionarietà della Chiesa, come anche sottolineato da papa Francesco.
Nel libro vengono messe in evidenza le difficoltà di cui è costellata la vita quotidiana del piccolo frate, e le continue rinunce che gli impongono: ogni volta che gli sembra essere vicino a realizzare il suo sogno di svolgere il proprio ministero nelle sue terre d’origine, con il suo slancio missionario indirizzato all’unione con il mondo ortodosso in particolare, ecco che deve tornare indietro, deve rinunciare, ritornare alla sua cella-confessionale, accusato spesso e volentieri di essere troppo indulgente con i penitenti, di essere di manica larga. Invece, come si scopre seguendo il filo narrativo, la confessione con padre Leopoldo diventa un vero capolavoro, paragonabile a quello dei suoi “colleghi” san Pio da Pietrelcina e Giovanni Maria Vianney, il santo Curato d’Ars.
San Leopoldo è stato riconosciuto il 6 gennaio 2020 patrono dei malati d’Italia colpiti da tumore. E il suo nome è tra quelli proposti per intitolare il futuro nuovo polo ospedaliero di Padova. Uno dei temi-cardini della meditazione e della missionarietà del santo è la sua incessante opera di riconciliazione tra chiesa d’Oriente e chiesa d’Occidente. Quell’Oriente che 'ho sempre dinanzi agli occhi', come scriveva lui stesso, che anima sempre la sua preghiera e l’offerta delle proprie sofferenze. Un cammino interiore tutto teso verso i 'fratelli orientali'.