Città del Vaticano , martedì, 31. gennaio, 2023 16:00 (ACI Stampa).
"Uno dei più grandi e più influenti teologi di tutti i tempi sulla cattedra di Pietro si è messo sotto la protezione di un santo per il quale non esisteva teologia, solo adorazione".
L'arcivescovo Georg Gänswein lo ha detto questa mattina nella omelia della messa per il trigesimo di Benedetto XVI celebrata nelle Grotte Vaticane accanto alla tomba del Pontefice. Una cerimonia intima con pochi fedeli per la maggior parte persone che avevano collaborato con il cardinale Ratzinger prima e Papa Benedetto poi.
Chi è il santo cui fa rifermento Gänswein? Giuseppe Benedetto Labre. La sua festa cade il 16 aprile giorno della sua morte e giorno della nascita di Joseph Ratzinger. Giuseppe appunto come è stato battezzato e Benedetto come ha scelto di chiamarsi da Pontefice.
" Che sorpresa, che mistero, che umiltà, ma anche che lezione" dice Gänswein. E prosegue: Benedetto XVI vedeva la Chiesa e la vita della Chiesa non come qualcosa da trattare secondo le opportunità politiche o ecclesiastiche e per questa fermezza e questo coraggio è stato spesso oggetto di aspre critiche e non mancavano anche parole ingiuriose, dei veri insulti. Il mite e cauto sacerdote non è scappato dal suo dovere di ricordare come egli stesso da Papa non avesse il potere di cambiare la fede rivelata e affidata alla Chiesa per annunciarla e testimoniarla - opportune, importune.
Dai Papi del medioevo si aspettava che avessero sempre un “orecchio aperto” alle richieste o ai desideri degli imperatori di quel tempo. Papa Benedetto vedeva la sua missione e il suo impegno nel rammentare e, se necessario, anche nell’ammonire i teologi e i vescovi, di non soccombere alle correnti teologiche pericolose ma di rimanere nell'unità della Chiesa Universale e fedeli al depositum fidei.