Città del Vaticano , sabato, 5. dicembre, 2015 9:00 (ACI Stampa).
Il Giubileo è alle porte e Roma sarà certamente meta di molti pellegrini. Del resto i giubilei sono nati anche per “gestire” il flusso dei tanti pellegrinaggi che in tutto in mondo antico si facevano soprattutto a Roma e in Terra Santa. Pellegrinaggi ai luoghi, ad limina, cioè verso i luoghi dove i santi e i martiri erano stati sepolti. Eppure la parola “pellegrino” che per noi oggi ha un significato chiaro, nei tempi antichi significava semplicemente “straniero”. E lo dimostra chiaramente l’ archeologia.
In occasione del conferimento dei Premi delle Accedemie Pontificie del 2015 si è parlato proprio di questo. Ad illustrare le iscrizioni e i graffiti dei “pellegrini” dei primi secoli del cristianesimo è stato il rettore del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana Danilo Mazzoleni.
Con un viaggio virtuale nei luoghi più tipici del pellegrinaggio, ma soprattutto con la lettura delle epigrafi delle catacombe romane e della Terra Santa.
A Roma tra il III e il IV secolo centinaia di graffiti in latino e greco invocavano la protezione di Pietro e Paolo e si trovano ancora sotto la basilica di San Sebastiano. Non è ancora chiaro perché proprio quel luogo sulla via Appia divenne una tappa fondamentale del pellegrinaggio, ma è chiaro che proprio quelle iscrizioni, tracciate da tante mani diverse, sono una prova eloquente della grande venerazione che già nei primissimi anni dopo il martirio degli Apostoli, Pietro e Paolo avevano a Roma.
C’è poi la catacomba di Calepodio, dove fu deposto il papa martire S. Callisto e dove un graffito potrebbe essere particolarmente importante. Sarebbe l’unico finora noto a riportare il termine pellegrino nel senso che gli diamo oggi. Ma è solo una ipotesi.