Scorrendo i saggi della conferenza, si trovano diverse chiavi di lettura interessanti. Prima di tutto, la chiave di lettura teologica, perché c’è una ideologia del “mondo russo” che sottende dietro l’aggressione russa all’Ucraina. Lo spiega Paul Gavrilyuk, nel saggio “Quando il Patriarca di Mosca benedice una guerra: la Chiesa Ortodossa Russa e la Sacralizzazione della violenza”.
Secondo Gavyrilyuk, l’ideologia del cosiddetto “Mondo Russo” nega alla nazione ucraina il diritto ad una esistenza indipendente, e lo fa venendo costruito sull’idea che ci sono valori cristiani tradizionali da difendere contro l’Occidente secolarizzato.
Ma è una idea fallace, nota Gayvriluk, perché si contrappone alla teologia ortodossa della pace, specialmente se contrapposta alla spiritualità monastica dell’esicasmo, uno stato di silenzio, solitudine e quiete raggiunto attraverso la preghiera ininterrotta a Gesù.
Viorel Coman, dell’Università di Leuven, ha invece analizzato il documento sociale del Patriarcato di Mosca del 2000 nel contesto dell’invasione russa dell’Ucraina.
Il documento cui ci si riferisce è “Le basi del Concetto Sociale della Chiesa Ortodossa Russa”, che stabilisce che “la guerra è il male”, ma giustifica la guerra giusta secondo alcune condizioni, e che oggi quella contro l’Ucraina è identificata come una guerra giusta e ammissibile.
Questa falla che permette di riconoscere una guerra giusta, nota Coman, si contrappone con il documento di dottrina sociale del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, più recente, che rifiuta l’idea di guerra giusta e la definisce contraria all’ethos della cristianità orientale.
La pace, sarebbe tuttavia possibile? Se lo chiede Claude Romano, professore della Sorbona di Parigi, in un intervento in cui cerca di fare luce sul fenomeno dei conflitti post-guerra, in cui include anche la guerra in Ucraina. Si tratta – spiega – di un atto di guerra che sembra come una forma di conflitto militare “classica”, ma è allo stesso tempo “una forma di guerra sena precedenti, dato che le armi nucleari, per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale, l’arma nucleare viene utilizzata come una arma dissuasiva-aggressiva e non più come una arma di protezione, minacciando tutte le nazioni che intervengono direttamente e militarmente sul suolo ucraino.
Questo uso dello spauracchio atomico, sottolinea Romano, si è “trasformato in una licenza illimitata di assaltare con impunità e considerare ciò che può ancora significare, in questo contesto, la possibilità della resistenza e la speranza di pace”:
Una speranza di pace resa più difficile dal fatto che il continente europeo porta ancora su di sé le cicatrici della storia. Lo spiega Luca Welczenbach, nel saggio “Identità Ferite. Memoria pubblica e ospitalità narrativa nel contesto europeo centro-orientale”.
Il saggio affronta le narrative che si sono sviluppate intorno all’identità europea, e nota che le ferite della memoria sono “predominantemente presenti nella memoria pubblica, con cui le comunità interpretano il loro passato e presente e guardano al loro futuro”.
E ciò, aggiunge, succede in particolare in una regione dove i confini delle nazioni si sovrappongono e i confini “sono spesso visti come fragili e temporali”, mentre le “narrative nazionaliste considerano la diversità etnica e l’interdipendenza come una minaccia agli Stati nazioni”.
L’idea è quella di utilizzare la nozione di “ospitalità narrativa” come una possibile “strada per scambiare narrative e permettere a ciascuna parte di vedersi nella storia negli occhi dell’altro che è colpito”.
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Antoine Arjakovsky, del College des Bernardins, si chiede invece come terminare la guerra in Ucraina. Una risposa “lontana dall’ovvio”, perché “se vogliamo impegnarci nel conflitto che minaccia di espandersi, se allo stesso tempo siamo convinti che c’è una verità e una giustizia verso la quale dobbiamo tendere perché sono le forze più potenti a nostra disposizione”, allora si devono adottare le giuste contromisure, a partire anche dalla scrittura di libri di esto sulla storia incrociata, una ecclesiologia ecumenica o anche testi che affrontano le scienze politiche e morali da più punti di vista.
Andrea Carteny, dell’Università La Sapienza di Roma, ha esplorato invece la società multi nazionale e multi confessionale ucraina, sottolineando come “dal punto di vista etnico, la costruzione della nazione ucraina è indubbiamente collegata alla questione nazionale russa”. Alla fine, però, l’istituzione di una Chiesa cosiddetta “uniate”, cioè di rito bizantino ma legata a Roma, è diventata per l’Ucraina “un produttore di identità per le comunità ucraine e rutene”.
Sono tutti approcci che aiutano a comprendere un mondo, quello russo, e una situazione, quella ucraina, ma che danno anche chiavi di lettura diverse, più complesse. Ed è qui che si arriva alla conclusione che proprio nella comune identità mariana si può trovare un antidoto, o perlomeno un inizio di dialogo.