Uno stretto legame tra san Francesco e la terra d’Abruzzo, più segnatamente il territorio marsicano e le propaggini limitrofe che hanno come fulcro la valle subequana del fiume Aterno sul versante del Sirente rivolto verso l’Aquila. Nulla più di Castelvecchio sembra simboleggiare questo legame, e non è casuale che venga chiamata anche “la piccola Assisi”.
E' quello che spiega Massimo Santilli, saggista e ricercatore in ambito storico e antropologico ed è autore di diverse opere riguardanti la ricerca storica, demologica ed etnografica sul francescanesimo, che con dovizia di particolari ha illustrato il profondo influsso di san Francesco sul borgo in questione. Dato che in uno spazio limitato non è possibile soffermarsi su ogni singolo intervento, abbiamo scelto di dare ampio conto solo di quello del curatore, non solo perché ci è sembrato il più significativo, ma anche perché si è rivelato un efficace e sintetico compendio abbastanza esaustivo delle tematiche più rilevanti che hanno costituito l’oggetto principale del convegno, ossia il profondo legame tra francescanesimo e terra di Abruzzo. Tra i suoi scritti più rilevanti in questa sede, il saggio “Il sangue di Francesco. Le reliquie di sangue di San Francesco d’Assisi e il prodigio della liquefazione”, pubblicato nel 2019 per l’ATS Italia Editrice di Roma con prefazione di Grado Giovanni Merlo.
Proprio prendendo spunto da questa pubblicazione, l’autore ci parla della straordinaria importanza del convento francescano di Castelvecchio dove sono conservate gocce di sangue delle stimmate del Santo per la venerazione dei fedeli. E’ noto che da questo punto vista la nobile famiglia dei conti di Celano abbia fatto tantissimo per l’ordine francescano in Abruzzo più in generale e la Marsica più in particolare. Si racconta, infatti, che il Poverello d’Assisi ebbe in dono dai Conti, che lo ospitarono nei castelli di Celano e di Gagliano Aterno, una chiesetta con un terreno annesso a Castelvecchio Subequo, dove lui fece edificare l’attuale convento. Dopo la morte del Santo, i frati donarono ai Conti un’urna con il sangue di San Francesco, quello appunto custodito nel convento di Castelvecchio. In seguito alle sue numerose ricerche, specialmente riguardo all’Abruzzo montano e nella fattispecie alla Valle Subequana, Santilli è giunto alla conclusione che uno dei temi di maggior interesse storiografico di questo territorio è costituito proprio dalla figura di S. Francesco d’Assisi in ragione del suo presumibile passaggio e delle ricche testimonianze di arte, architettura e di devozione popolare presenti in loco. E’ da queste considerazioni infatti che ha preso le mosse la sua attività di ricerca su un argomento totalizzante per le comunità locali qual è il Poverello di Assisi. Proprio nel corso di queste indagini, l’autore ha avuto modo di individuare altri luoghi in cui si conservano da secoli, come a Castelvecchio Subequo, alcune reliquie di sangue del santo, tanto da consentire una sorta di mappatura inedita dei suoi resti ematici.
Come ci informa Santilli, l’introduzione del francescanesimo in Abruzzo comincia con il primo insediamento, o “fraternità francescana” come egli la definisce, a Gagliano Aterno, seguito poco dopo da Castelvecchio Subequo. Siamo proprio agli albori della missione francescana, il cui messaggio trova subito terreno fertile in questo Abruzzo montano e attecchisce e si diffonde con una rapidità impressionante, specialmente per numero di chiese, conventi e monasteri lungo l’itinerario dei tratturi della transumanza, la grande migrazione stagionale delle greggi che dalle montagne andavano a svernare nel più mite clima delle fasce costiere, fino alle Puglie. Ma san Francesco non attirava solo le classi popolari, come potevano essere i pastori, ma anche la nobiltà al più alto livello, come i succitati e potenti Conti di Celano, cui dobbiamo tantissimo, come afferma Santilli.
Mentre già negli anni 60 del Duecento si insedia il monachesimo femminile con le clarisse francescane di Santa Chiara che subentrano ai francescani a Gagliano, nel frattempo questi occupano tutti gli spazi sacrali a Castelvecchio, sempre per l’intervento dei Conti, che lo scelgono come luogo privilegiato della propria munificenza, ovvero della loro ostentazione politica. “E allora Castelvecchio Subequo diventa il luogo per eccellenza dove dare committenza del ciclo di affreschi di impianto, rimando giottesco e dove si custodiscono le reliquie corporali di Francesco”, comprendenti non solo il suo sangue ma anche frammenti della pelle della piaga del costato, alcuni capelli ecc. Di conseguenza nasce anche l’oreficeria sacra e sono sempre i Conti di Celano a dare committenza alla scuola celebre di Sulmona per reliquari, croci e quant’altro e segnatamente al valente artista sulmonese mastro Nicola Pizzulo. Nasce quindi il tempio francescano meta di pellegrinaggi da ogni luogo e a Castelvecchio Francesco viene identificato con la figura di santo taumaturgo che guarisce dall’epilessia e allontana la possessione diabolica grazie, aggiunge Santilli, al potere salvifico anti-demoniaco del suo sangue. “Una piccola goccia di sangue, diceva san Gregorio Nazianzeno, sconfigge il diavolo e rappresenta il tutto”, afferma lo studioso. “San Francesco è presente per intero a Castelvecchio Subequo attraverso una piccola modesta reliquia della sua corporalità”. Ecco allora che Francesco a Castelvecchio si rappresenta in questa valenza plurima che conferisce al paese ma anche a tutta la valle subequana un ruolo di primo piano nel novero del francescanesimo abruzzese.
Quasi a voler prevenire l’obiezione di quegli “avvocati del diavolo” che potrebbero far notare che non esiste un documento scritto sull’effettivo passaggio di Francesco nella valle subequana, a differenza ad esempio di Celano dove l’attesta lo stesso beato Tommaso, Santilli ammette che è così. Comunque, sottolinea, nulla si oppone al Francesco presente e vivente a Gagliano Aterno e Castelvecchio e ce lo dice l’osservazione dell’iconografia francescana. Infatti per Santilli la presenza del Poverello è provata proprio da quella che lui chiama “corrispondenza cronologica” con le raffigurazioni iconografiche nelle varie chiese francescane in loco, a cominciare dagli affreschi nel coro della chiesa francescana di Castelvecchio. In questo coro è ritratto un Francesco giovane, senza barba, senza le stimmate e che quindi secondo valenti studiosi di storia dell’arte è il ritratto vivente di Francesco nella valle subequana. Se ci guardiamo intorno si trova un Francesco giovane, senza le stimmate, anche a Corfinio e Bominaco. “Siamo ai primordi del francescanesimo”, conclude Santilli, “e l’Abruzzo come terra di Francesco e del francescanesimo è fra la più accoglienti del suo messaggio, del suo farsi Vangelo”.
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