Conversione – dice il Papa – significa “imparare sempre di più a prendere sul serio il messaggio del Vangelo e tentare di metterlo in pratica nella nostra vita”. Non basta “prendere distanza dal male, ma mettere in pratica tutto il bene possibile”.
Una grande occasione di conversione, continua Papa Francesco, è stata il Concilio Vaticano II, e questa conversione è definita nel “tentativo di comprendere meglio il Vangelo, di renderlo attuale, vivo e operante in questo momento storico”.
Per Papa Francesco, il percorso di conversione è in atto, e parte di questo processo è l’attuale riflessione sulla sinodalità della Chiesa.
Il rischio opposto, invece, è quello del fissismo, ovvero “la convinzione nascosta di non avere bisogno di nessuna comprensione ulteriore del Vangelo”, volendo “cristallizzare il messaggio di Gesù in un'unica forma valida sempre”.
Papa Francesco però mette in guardia: la conversione “non solo ci fa accorgere del male per farci scegliere nuovamente il bene”, ma “spinge il male ad evolversi, a diventare sempre più insidioso, a mascherarsi in maniera nuova affinché facciamo fatica a riconoscerlo”.
Per il Papa, il primo problema è il “confidare troppo in noi stessi, nelle nostre strategie, nei nostri programmi”, mentre “alcune cadute, anche come Chiesa, sono un grande richiamo a rimettere cristo al centro”.
Ammonisce Papa Francesco: “È troppo poco denunciare il male, anche quello che serpeggia in mezzo a noi. Ciò che si deve fare è decidere una conversione davanti ad esso. La semplice denuncia può darci l’illusione di aver risolto il problema, ma in realtà quello che conta è operare dei cambiamenti che ci mettano nella condizione di non lasciarci più imprigionare dalle logiche del male, che molto spesso sono logiche mondane”.
Per questo, si deve praticare la virtù della vigilanza, perché c’è una prima conversione che “riporta un certo ordine”, quando il male, riconosciuto, si allontana. Ma “è da ingenui pensare che rimanga lontano per lungo tempo. In realtà, dopo un po’ si ripresenta a noi sotto una nuova veste. Se prima appariva rozzo e violento, ora invece si comporta in maniera più elegante ed educata. Allora abbiamo ancora una volta bisogno di riconoscerlo e smascherarlo”.
Sono quelli che Papa Francesco chiama “demoni educati”, che “solo la pratica quotidiana dell’esame di coscienza può far sì che ce ne rendiamo conto”, e "in questo si vede l'importanza dell'esame di coscienza". E fa l’esempio delle monache di Port Royal del XVII secolo, riformatrici e poi diventate l’icona della resistenza giansenista, che “avevano scacciato il demonio, ma questo era tornato sette volte più forte e, sotto la veste dell’austerità e del rigore, aveva portato rigidità e presunzione di essere migliori degli altri”. Perché "il demonio torna. Sempre torna. Travestito, ma torna".
Lo stesso Gesù, dice Papa Francesco, si rivolge in diverse parabole “a ben pensanti, a scribi e farisei, con l’intento di portare alla luce l’inganno di sentirsi giusti e disprezzare gli altri”.
E il Papa, ricordando la parabola della pecorella smarrita o del figliol prodigo, sottolinea che “a tutti noi sarà successo di perderci come quella pecorella o di allontanarci da Dio come il figlio minore. Sono peccati che ci hanno umiliato, e proprio per questo, per grazia di Dio, siamo riusciti ad affrontarli a viso scoperto”. Ma il pericolo viene anche dall’interno, perché "si può essere infelici" anche rispettando tutte le norme, come il figlio maggiore nella parabola del figliol prodigo.
Oggi, però, ci si deve ricordare che “formalmente la nostra vita attuale è in casa, tra le mura dell’istituzione, a servizio della Santa Sede, nel cuore stesso del corpo ecclesiale; e proprio per questo potremmo cadere nella tentazione di pensare di essere al sicuro, di essere migliori, di non doverci più convertire”.
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Ed è qui che entrano in scena di demoni educati, perché "il tentatore torna sempre". Ed è qui che è necessaria anche la pace del cuore.
“Mai come in questo momento – afferma Papa Francesco - sentiamo un grande desiderio di pace. Penso alla martoriata Ucraina, ma anche a tanti conflitti che sono in atto in diverse parti del mondo. La guerra e la violenza sono sempre un fallimento. La religione non deve prestarsi ad alimentare conflitti”.
Il Papa ribadisce, come ha già fatto tante volte, che “il Vangelo è sempre Vangelo di pace, e in nome di nessun Dio si può dichiarare ‘santa’ una guerra. Dove regnano morte, divisione, conflitto, dolore innocente, lì noi possiamo solo riconoscere Gesù crocifisso. E in questo momento è proprio a chi più soffre che vorrei si rivolga il nostro pensiero”.
Ma, aggiunge Papa Francesco, “la cultura della pace non la si costruisce solo tra i popoli e tra le nazioni. Essa comincia nel cuore di ciascuno di noi. Mentre soffriamo per l’imperversare di guerre e violenze, possiamo e dobbiamo dare il nostro contributo alla pace cercando di estirpare dal nostro cuore ogni radice di odio e risentimento nei confronti dei fratelli e delle sorelle che vivono accanto a noi”.
Papa Francesco sottolinea che “se è vero che vogliamo che il clamore della guerra cessi lasciando posto alla pace, allora ognuno inizi da sé stesso”, con benevolenza, ovvero scegliendo “sempre la modalità del bene per rapportarci tra noi”,
Perché, dice il Papa, “non esiste solo la violenza delle armi, esiste la violenza verbale, la violenza psicologica, la violenza dell’abuso di potere, la violenza nascosta delle chiacchere, che fanno tanto male e distruggono tanto”.