Roma , martedì, 1. dicembre, 2015 12:00 (ACI Stampa).
Chiamatemi Francesco, il film sulla vita del Papa è firmato da Daniel Luchetti. Gli abbiamo rivolto alcune domande.
Per fare un film sul Papa, come si ci avvicina ad una persona, come appunto il Santo Padre, che di fatto è la Storia vivente?
Ci si avvicina pensando che è una persona e basta, anche se ovviamente non è facilissimo. Quando fai un film di questo genere una delle tentazioni che hai, è cercare nella sua vita quegli indizi che un giorno lo avrebbero portato a diventare Papa. Così spesso la gente in Argentina ci raccontava questo personaggio. A sei anni si capiva già che sarebbe diventato Papa, era un bambino buono, anche a ricreazione si comportava così bene...questa è una falsificazione della realtà. Quello che rimane è metterti sulle tracce di un essere umano, pedinarlo, fare un ritratto ipotetico attraverso degli indizi e delle testimonianze per creare un personaggio a tutto tondo. Oggi mi accorgo che ci sono dei tratti caratteriali nel film che tornano con quello che sta facendo oggi. Ma il mio, non è stato un percorso al contrario, cioè partendo da cosa fa adesso il Papa. Io ho ricostruito questa personalità sperando di essere credibile, attendibile e di fare un film che stesse in piedi sulle sue gambe.
Lei ha fatto un lungo periodo di ricerca Argentina. Quali aneddoti, incontri, testimonianze le sono rimasti più in mente?
Sicuramente una persona che mi ha detto che Bergoglio era un uomo preoccupato. Poi la prima volta che ho visto un filmato di una decina di anni fa, relativo ad un processo in cui Bergoglio testimonia su alcuni fatti della dittatura in cui ho visto una persona completamente diversa da quella di oggi. Serio, preoccupato, cauto, forse spaventato. Allora ho iniziato a ricostruire il personaggio proprio da questa preoccupazione, da questa serietà. Ho pensato che questi aspetti fossero interessanti, perché magari in pochi sanno chi era ieri e perché oggi è diventato quello che conosciamo. Poi mi ha colpito molto incontrare i preti di strada, quelli che lavorano nelle favelas dove fanno un lavoro pastorale incredibile, in territori molto devastati.