Tanto più – aggiunge - “che gli Ucraini vedono i programmi russi nei quali ogni sera si sottolinea che l’Ucraina sarebbe proprietà della Russia, e giustificano la situazione corrente. Da questo, le persone non possono che dedurre che la fine della guerra può andare bene per loro solo con una difesa, ossia ‘vittoria’ militare”.
Il nunzio accoglie la piccola delegazione nella nunziaura, in una Kyiv completamente innevata. Ci sono ancora blackout, ma sono controllati, mentre la capitale ha ripreso a vivere dopo l’assedio russo. Ormai, si è abituati anche a sentire gli attacchi missilistici in lontananza. Il traffico è intenso, le persone escono, c’è una atmosfera più rilassata.
Il nunzio è l’unico diplomatico rimasto a Kyiv, oltre all’ambasciatore di Polonia, durante l’assedio. Al tempo, il personale della nunziatura si era spostato a dormire al piano terra, mentre dei tavoli bloccavano gli ingressi. Ma di quel tempo restano solo alcuni “cavalli di frisa” vicino gli edifici governativi. Per il resto, Kyiv ha ripreso a vivere.
“Prima della pandemia – racconta il vescovo latino di Kyiv Žytomyr Vitalij Kryvyt'kyj – celebravamo in cattedrale 8 mese ogni domenica, cui partecipavano 1500 persone. Dopo la pandemia, abbiamo avuto tre messe domenicali per un periodo, e ora ne abbiamo sette: abbiamo soppresso la messa in lingua inglese, perché sono andati via gli studenti e non è più partecipata, e allo stesso modo abbiamo sostituito la Messa in lingua russa con quella in lingua ucraina”.
La cattedrale era stata confiscata dai sovietici, che ne avevano fatto un planetario. “I comunisti volevano che la gente vedesse il cielo, ma non quello che c’era al di là del cielo”, commenta il vescovo.
Ora, ci si prepara al Natale, e sarà un Natale ancora in guerra. Difficile, quindi, parlare di perdono. “Non possiamo dare il perdono a chi non ce lo chiede”, spiega. E sottolinea che il lavoro più grande, oggi, è quello di superare i traumi, perché “sappiamo che in alcuni casi basta una pacca sulla spalla. Ma una donna che è stata stuprata non può essere nemmeno toccata”.
Kyiv ha un passato sovietico ingombrante, ed è evidente che se ne voglia liberare. Lo fa coltivando la memoria e la storia. C’è un Museo, tra l’altro proprio di fronte il centro del Chiesa Ortodossa legata al Patriarcato di Mosca, che raccoglie tutte le armi dei sovietici: elicotteri persi nella guerra in Afghanistan, carri armati, resti di aerei.
In questo museo, si è creata una esibizione, “Ucraina Crocifissa”, che fa memoria dei giorni dell’assedio di Kyiv da parte dei sovietici. Addirittura, viene riprodotto uno dei rifugi sotterranei, in maniera certosina e precisa, con le iscrizioni sulle pareti e il cibo.
“Questo veniva portato dai russi – racconta il curatore della mostra – che solo raramente concedevano alle persone di uscire e andare nei supermercati a prendere cibo, o di cuocere all’aperto. E in quel caso al checkpoint le persone venivano costrette a filmare video in cui ringraziavano i militari russi per l’aiuto”.
Incredibile, tuttavia, la volontà di creare memoria della guerra quando ancora una memoria storica non si è costruita. L’Ucraina vuole imparare dagli errori del passato, e non vuole che il passato torni. È significativo, in questo senso, che centro della mostra sia un quadro della Vergine colpito da una scheggia, proveniente da una chiesa che è finita completamente distrutta dalle bombe. È il segno di una identità, che gli ucraini sentono cristiana. Ed è il simbolo dell’idea che venga negato al loro popolo di esistere.
(2 – continua)
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