Lugano , mercoledì, 16. novembre, 2022 16:00 (ACI Stampa).
In occasione della “Red Week”, la settimana commemorativa e di preghiera per i cristiani discriminati e perseguitati in tutto il mondo, ha fatto visita a Lugano l’arcivescovo di Leopoli Mieczysław Mokrzycki: è stato nel cantone Ticino due giorni, sabato 12 e domenica 13 novembre. Durante i suoi incontri in programma a Lugano ha parlato delle persecuzioni dei cristiani in Ucraina durante il comunismo, dell’attuale guerra e le sue conseguenze per la Chiesa.
Sabato mattina l’arcivescovo Mokrzycki è stato ospite alla Facoltà di Teologia dell’Università della Svizzera italiana dove ha pronunciato una conferenza su “Fede, persecuzione, martirio”. All’inizio del suo discorso il Monsignore ha spiegato che “la persecuzione dei cristiani si inserisce nel contesto più ampio della spirale di violenza e aggressività che vediamo nel mondo che ci circonda. Lo stupro e la violenza si verificano quando, violando la dignità di una persona, si cerca di imporle un tipo di comportamento, un sistema sociale o religioso oppure di costringerla a rinunciare a ciò che le spetta di diritto”. Mons. Mokrzycki si è limitato ad analizzare le persecuzioni della Chiesa nei regimi comunisti cominciando con l’analisi dell’ideologia comunista, “l’ideologia, che si è diffusa in tutta l’Europa centrale e orientale in un arco di tempo non tanto breve: dallo scoppio della Rivoluzione bolscevica, fino al periodo successivo alla fine della Prima Guerra Mondiale, poi su larghissima scala dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’istituzione di una nuova divisione amministrativa dell’Europa. In quel periodo, molti Paesi si trovarono sotto l’influenza dell’Unione Sovietica e fu in questi Paesi che la Chiesa subì alcune delle sue maggiori persecuzioni. Naturalmente, tra questi Paesi c’era anche il territorio dell’attuale Ucraina”.
Per illustrare la drammatica situazione della Chiesa mons. Mokrzycki ha citato una lettera dei sacerdoti cattolici, scritta nel 1930, inviata all’arcivescovo di Varsavia, primate della Polonia, il Cardinale Aleksander Kakowski, e indirettamente indirizzata anche al Papa. In essa vengono descritte le persecuzioni in atto nei territori incorporati nell’Unione Sovietica: “Agli ecclesiastici è vietato entrare negli ospedali, e i malati muoiono senza potersi confessare. Coloro che battezzano i bambini o si sposano in chiesa o passano alla Chiesa cattolica, vengono licenziati dal lavoro, espulsi dalle associazioni, e vengono persino privati degli oneri sociali. Alle chiese e ai sacerdoti non vengono imposte solo le tasse, ma sono costretti a pagare anche i diversi contributi. Le chiese vengono chiuse con la forza o con la menzogna e l’inganno, o per il mancato pagamento delle tasse”. La lettera parla dei cimiteri profanati, le croci spezzate, le tombe distrutte; del maltrattamento e delle derisioni dei bambini cattolici a scuola, dei sacerdoti costretti ad abbandonare lo stato clericale o a diventare agenti comunisti; dei contadini più ricchi che vengono saccheggiati, tormentati, costretti a dichiarare per iscritto che se ne vanno volontariamente”. La lettera finisce con le frasi drammatiche: “Il nostro destino è terribile. Siamo condannati ad essere banditi o a morire da martiri”.
Come ha sottolineato l’arcivescovo Mokrzycki “questa testimonianza straziante ci dà un quadro della persecuzione e dell’enormità dell’odio con cui i comunisti trattavano la Chiesa cattolica”. Purtroppo le persecuzioni non finirono nel periodo postrivoluzionario: la seconda ondata seguì alla fine della Seconda guerra mondiale cioè il periodo compreso tra il 1945 e il 1991. Già nelle prime settimane dopo la fine della guerra, alcune parrocchie e comunità religiose furono chiuse, i loro beni confiscati dal regime. “In questo modo – ha spiegato mons. Mokrzycki - sono state chiuse tante scuole, asili, asili nido, orfanotrofi, unità sanitarie, case di cura, ricoveri per senzatetto e ospedali gestiti dalle comunità religiose”.
In quel periodo, la lotta contro la Chiesa fu condotta apertamente, ricorrendo a “intimidazioni, arresti e persecuzioni del clero”. Tanti sacerdoti e religiosi furono deportati in Siberia. Quelli sacerdoti potevano rientrare nelle loro parrocchie soltanto dopo la morte di Stalin nel 1953. Apparentemente, la situazione migliorò ma in verità le autorità comuniste “con i metodi di lotta occulta, persuasero il clero, con ogni mezzo possibile, a collaborare col regime o a lasciare le parrocchie e fuggire in Polonia”. I sacerdoti rimasti in queste terre “sono considerati gli eroi di quei tempi ed araldi della fede” e per molti di loro “sono iniziati i processi di beatificazione”.