Città del Vaticano , mercoledì, 9. novembre, 2022 14:00 (ACI Stampa).
Oggi, mentre si ha la sensazione di un ripensamento strategico internazionale da parte dei grandi Paesi o aree geografiche con tattiche o che si rafforzano, o cercano soluzioni per le crisi che li coinvolgono - ad esempio la Cina di Xi Jinping rafforza il proprio potere collocandosi al centro dello scacchiere, la questione di Taiwan in primis, la Russia di Putin tra effetti disastrosi non sa come uscire dalla guerra in Ucraina, Europa e USA rafforzano l’Alleanza Atlantica per la difesa dei tradizionali valori democratici, l’Africa è quasi abbandonata ai suoi grandi mali (divisioni tribali, corruzione, miopie politiche, conflitti) benché ora oggetto di mire per le sue riserve energetiche, e il mondo arabo continua condizionato dalla millenaria controversia tra sunniti e sciiti-iraniani - la Chiesa dov’è? È veramente irrilevante, come qualcuno pensa e scrive?
C’è in verità un «Popolo di Dio» nelle municipalità, nelle città, nei villaggi che percepisce tutte le drammatiche crisi sociali e morali (la fenomenologia è amplissima: povertà, droga, omicidi, sfruttamento del lavoro, disoccupazione, violenze domestiche, ecc.) e che pure si domanda: La Chiesa dov’è? Le parrocchie, i movimenti ecclesiali, le opere socio-caritative, l’azione con le famiglie, l’educazione, certo tutto è là, ma la domanda non è oziosa.
In un mondo che cambia rapidamente, è naturale domandarsi se la Chiesa, in questa realtà camaleontica e convulsa della geopolitica, compreso finanziaria, abbia un compito. È pertanto fondamentale poter leggere gli avvenimenti nella loro macro-evidenza, senza la pretesa di scomodare qui la natura misterica e trascendente di essa, evitando al tempo stesso di cadere sia in una lettura semplicemente sociologica, sia nella seduzione di un certo fatalismo; ma pure di barcamenarsi tra gli scogli di realtà pragmaticamente e apparentemente indifferenti.
Certamente la missione della Chiesa non è una missione di competizione, benché il soggetto verso cui essa manifesta il proprio interesse è il medesimo a cui è orientata la geopolitica internazionale: quegli stessi uomini e donne, quei popoli ai quali tutti dichiarano di voler bene e di volerne favorire il progresso. La missione della Chiesa non è competitiva e non andrebbe mai letta come si trattasse di un agonismo elettorale con percentuali che i media spesso si contendono per esigenze giornalistiche, se non ideologiche. Gli amanti delle statistiche, delle scommesse e delle previsioni lo fanno, e di quando in quando sciorinano i loro dati sulla frequenza religiosa dei fedeli, sulla vita sacramentale o delle liturgie, sulle vocazioni, ecc. La sua, quella della Chiesa, è una missione morale, spirituale, ma non avulsa da questo mondo, cioè profondamente umana e che vive nelle e con le crisi dell’umanità. E il Papa non è a capo di una «potenza», sebbene gli sia riconosciuta una rilevanza anche internazionale; neppure la vita della Chiesa è traducibile in soldoni.
Da oltre un secolo, l’interazione della Chiesa con il mondo è molto cambiata. A livello istituzionale non c’è più un papato che tratti con gli imperi (francese, austro-ungarico, britannico, russo, cinese, ottomano) e con neo-nazioni emergenti; nemmeno c’è un episcopato che si occupi semplicemente della vita religiosa e umanitaria (già tanto benemerita) delle proprie popolazioni.