Città del Vaticano , mercoledì, 2. novembre, 2022 18:00 (ACI Stampa).
Il 30 aprile 1921 Papa Benedetto XV pubblicava l’enciclica In preaclara summorum dedicata al VI centenario della morte di Dante Alighieri.
“Nella illustre schiera dei grandi personaggi, che con la loro fama e la loro gloria hanno onorato il cattolicesimo in tanti settori ma specialmente nelle lettere e nelle belle arti, lasciando immortali frutti del loro ingegno e rendendosi altamente benemeriti della civiltà e della Chiesa – scriveva il Papa - occupa un posto assolutamente particolare Dante Alighieri”.
Dante – ricordava Benedetto XV – “durante l’intera sua vita professò in modo esemplare la religione cattolica, si fece discepolo del principe della Scolastica Tommaso d’Aquino; e dallo stesso mondo della religione egli trasse motivo per trattare in versi una materia immensa e di sommo respiro”.
La Divina Commedia – aggiungeva il Pontefice – “ad altro fine non mira se non a glorificare la giustizia e la provvidenza di Dio, che governa il mondo nel tempo e nell’eternità, premia e punisce gli uomini, sia individualmente, sia nelle comunità, secondo le loro responsabilità”.
Guardando a Dante – spronava Benedetto XV - “i cristiani debbono somma riverenza alla Sacra Scrittura e accettare con assoluta docilità quanto essa contiene. Per la verità, l’Alighieri ha una straordinaria deferenza per l’autorità della Chiesa Cattolica e per il potere del Romano Pontefice. Da qui quell’energica ammonizione ai cristiani: dal momento che essi hanno i due Testamenti, e contemporaneamente il Pastore della Chiesa dal quale sono guidati, si ritengano soddisfatti di questi mezzi di salvezza”.