Roma , venerdì, 21. ottobre, 2022 18:00 (ACI Stampa).
Nella bruma del primo mattino, quando sorge il pallido sole invernale, si diffonde un buon odore di fumo e di fuoco, di foglie macerate nella terra; tra le poche case del piccolo paese, vuote, si sente muggire qualche mucca nelle stalle, un abbaiare di cane. I rami degli alberi sono già spogli e disegnano ricami sottili sul cielo che schiarisce. Davanti agli occhi questo paesaggio e dal cuore sale lenta e limpida una voce che recita Pater nostrum…La preghiera è necessaria, è parte integrante dell’essere, del vivere, dell’agire. C’è chi prega in un paese come quello descritto, nel mondo perduto dell’Appennino emiliano. C’è chi prega in una stanza in casermoni cittadini, o chi riesce a pregare in antiche abbazie, in cappelle al limitare di boschi silenziosi… Ma a pregare oggi non sono in molti.
Lo dichiara anche Giovanni Lindo Ferretti nell’ultimo suo libro, un libro breve, denso e folgorante, dal titolo: "Óra. Difendi conserva prega", pubblicato dalla Compagnia Editoriale Aliberti. Ferretti è un protagonista atipico della scena creativa italiana. Per decenni ha percorso sentieri del tutto diversi tra loro, quello del punk, della militanza e della rivoluzione, della musica e della poesia, dell’ascesi e della solitudine come scelta di vita. Dunque l’oggi è a Cerreto Alpi, minuscolo paese appenninico con due cavalli, cinque gatti, un cane chiamato Scampato, una gher (le tende usate dai popoli nomadi dell’Asia Centrale) e uno zio 97enne di cui si prende cura. E dove prega, come racconta in modo toccante nel suo libro.
Al racconto di un ricordo si associano le parole di una preghiera, una di quelle della tradizione, spesso in latino, che fanno parte della sua storia e nella storia della civiltà occidentale, dalle pietre di un paese sperduto alle guglie delle cattedrali. Rievoca sua madre malata di Alzheimer, di come la malattia la stava divorando velocemente. Allora il figlio prende una decisione: tutte le sere si recita il rosario, l’unica cosa possibile. Il rosario diventa il baluardo contro il buio, il vuoto, il delirio. E alla fine i medici ammettono che c’era stata una regressione della malattia. La preghiera salva, protegge. Dalle annotazioni di Ferretti scaturiscono le figure della nonna, di amici scomparsi, di artisti conosciuti, e tutto si intreccia con i dialogo con Dio, Maria, lo Spirito Santo, e l’implorazione alla misericordia del Padre, per i defunti, per l’ora della morte.
"La maggior parte delle persone che frequento non pregano, la quasi totalità di quelle a cui voglio bene non pregano, non ne conoscono necessità, non possono beneficiarne. I bambini crescono senza impararle", scrive l’autore. Che ha imparato a pregare con la nonna, prima di addormentarsi, in una casa senza televisione e radio, solo molto silenzio e molto tempo in cui Dio si fa incontro, lì in quella parte nascosta della montagna emiliana dove si parla in dialetto e si prega in latino. Poi si cambia, il bambino Giovanni va in città e smette di pregare, avviandosi su una strada di creatività e di follia, in cui però, in qualche modo la presenza del Mistero e il bisogno di richiamarlo non sono mai davvero scomparsi. Anche nella rabbia e nella forza delle canzoni delle band di cui fa parte, dalle CCCP e della CSI, di successo ma tossico, velenoso, che gli toglie la voglia di vivere e che Ferretti sente di non poter più sopportare. Torna alla sua terra, quella forte delle sue radici. "Non so quando ho ricominciato a pregare. L’ho fatto così, perché mi si allargava il cuore". Perché pregare, “orare” è "un ragionevole atto" visto che riesce a far sentire bene, "comunque meglio. Se non prego è comunque peggio".
La preghiera è anche essere comunità, essere insieme, ma anche questa dimensione è ormai eclissata. Lo si avverte in modo tangibile di fronte alle varie prove a cui ci sottopone la vita, fino all’atto finale, alla morte: "La perdita personale e pubblica ci priva di una componente essenziale della socialità, quella che chiamavamo civiltà e con tutte le avversità e con tutte le sue colpe lo era. Il far pronte alle avversità, al dolore, in forme codificate, religiose, le uniche che possono intervenire quando non si sa cosa dire, come fare, perché se ognuno è a sé c’è ben poco da dire e ancor meno da fare".