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Giovanni Paolo II, il suo cerimoniere racconta

Mons. Piero Marini con San Giovanni Paolo II | Loreto, 5 Settembre 2004 - Papa Giovanni Paolo II durante una Messa solenne | Alessia Giuliani / CPP Mons. Piero Marini con San Giovanni Paolo II | Loreto, 5 Settembre 2004 - Papa Giovanni Paolo II durante una Messa solenne | Alessia Giuliani / CPP

Cosa resta di San Giovanni Paolo II? “La prospettiva della cultura come una finestra aperta per il futuro della liturgia. Se la liturgia non diventa un elemento della cultura dei vari popoli, rimane superficiale, come un vestito che si mette e si cambia.” Risponde così l’arcivescovo Piero Marini, ora presidente del Pontificio per i Congressi Eucaristici Internazionali, ma per venti anni Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, diciotto dei quali spesi al servizio  di San Giovanni Paolo II. Dieci anni dopo la morte del Papa polacco, il ricordo del Papa polacco è ancora vivo in lui.

Quando ha conosciuto Giovanni Paolo II?

Nel 1973. Ero in Polonia, ad accompagnare il Cardinal Arturo Tabera, allora Prefetto per la Congregazione per il Culto, in un viaggio in Polonia organizzato su invito dei vescovi polacchi. L’altro accompagnatore del Cardinal Tabera era monsignor Stefansky. Abbiamo fatto il giro della Polonia. E abbiamo scoperto un mondo nuovo, poco conosciuto anche dalla Curia perché i contatti erano pochi, erano i tempi della cortina di ferro

Da dove nasceva l’invito della Conferenza Episcopale polacca?

La Congregazione per il Culto aveva avuto uno scambio epistolare difficile, complicato. La Polonia aveva chiesto di poter avere due patroni, San Wojcieh e San Stanislao. Ma secondo le regole di allora, se ne doveva scegliere solo uno, e così aveva chiesto la Congregazione. Al che il Cardinal Wyszynsky, il Primate della Chiesa Polacca, aveva tuonato: “Non c’è riuscito il regime comunista a toglierci i nostri patroni, ci vuole provare il Vaticano!” Poi, la polemica era rientrata. Ma in seguito a quelle difficoltà, la Conferenza Episcopale Polacca aveva invitato il Cardinale, prefetto per la Congregazione per il Culto Divino in cui io servivo dagli anni Sessanta.

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Come è avvenuto l’incontro con l’allora Cardinl Wojtyla, allora arcivescovo di Cracovia?

Siamo arrivati a Cracovia nel mese di maggio, per la celebrazione di San Stanislao. Ricordo benissimo il primo incontro che abbiamo avuto con l’allora arcivescovo di Cracovia. È venuto a riceverci personalmente. Ricordo quando siamo entrati nel palazzo vescovile, ricordo di essere passato sotto un arco gotico per entrare nella mia stanza… Abbiamo passato a Cracovia due o tre giorni. Ho un ricordo vivido della grande processione di San Stanislao… e poi, tutte quelle celebrazioni, sono stata l’occasione per imparare le litanie in polacco!

Dopo ha mantenuto i rapporti con il Cardinal Wojtyla?

Non ho mantenuto dopo i rapporti. Dopo il viaggio, ho ricevuto da Don Stanislao (Dziwisz, oggi cardinale e arcivescovo di Cracovia, allora segretario del Cardinal Wojtyla, ndr) le foto del viaggio, ma tutto è finito lì. In fondo, abbiamo incontrato molti vescovi… però Wojtyla mi aveva impressionato in un modo particolare, perché trovavo le sue omelie aggiornate secondo il Concilio. Si sentiva che era un vescovo del Concilio. Io ricordo per esempio l’omelia a Nowa Huta… Ci ha portato in questa chiesa che era ancora in costruzione, ma ricordo che dentro c’erano ancora le impalcature. Sì, Wojtyla era un vescovo secondo il Concilio, molto vicino alla gente, molto vicino al popolo.

Poi, il Cardinal Wojtyla viene eletto Papa Giovanni Paolo II, cinque anni dopo…

Sì, l’ho incontrato il giorno dell’elezione, gli ho ricordato del mio viaggio in Polonia... Poi, nel 1987, ho preso questo ufficio di responsabilità per le celebrazioni del Papa. Era un uomo amabile, molto rispettoso degli altri… Sui principi era duro, alle volte sembrava quasi irruento nella difesa dei principi… ma nella vita nei contatti umani era molto cordiale molto affabile. Dopo un mese o due che ci si frequentava, ci capivamo al volo.

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Cosa chiedeva San Giovanni Paolo II alle celebrazioni liturgiche?

Il Papa non era un esperto di liturgia, si fidava, lasciava fare. È stata la chiave del successo di molte celebrazioni. L’inculturazione si legava al problema della partecipazione. Ma già usare la mia lingua è una inculturazione della liturgia. È stato un periodo fortunato. Subito mi sono circondato di consultori, una decina di persone tra cui l’attuale Cardinal Bertone… tutte persone di prima qualità con le quali abbiamo portato avanti una riforma delle celebrazioni papali. Abbiamo cominciato la riforma in senso positivo, dopo che si era avuta quella “negativa”.

Cosa intende per “negativa”?

La purificazione, cioè togliere gli elementi che erano di corte, come la tiara, i gendarmi che entravano con il Papa… c’era il retaggio che per secoli il Papa era re dello Stato pontificio… tutte ‘spoliazioni’ che fece Paolo VI.

E come era la riforma “positiva” della liturgia?

Con Giovanni Paolo abbiamo dunque cercato di mettere dentro dei segni che riempissero il vuoto che c’era. Faccio riferimento alla cerimonia dell’inizio del ministero petrino, che poi si è compiuta con Benedetto XVI. Nel mio ufficio, abbiamo prospettato la riforma del pallio, dell’anello del pescatore – perché il Papa non aveva più un suo anello, mentre nella tradizione i Papi avevano sempre anello come sigillo, l’Anello del Pescatore, e poi c’erano altri con i quali si è sottolineato questo ministero petrino in linea con la teologia del Concilio e tenendo conto della teologia della Chiese orientali. ’era un aspetto ecumenico nelle riforme che si sono fatte.

Tra tutte le celebrazioni che ha preparato, quale ricorda con più affetto? Quale l’ha colpita?

La celebrazione che mi ha colpito è quella di inizio del ministero petrino, che è stata studiata sotto Giovanni Paolo II, ma poi messa in atto da Papa Benedetto XVI.

Delle celebrazioni con Giovanni Paolo II mi ricordo particolarmente i suoi funerali, una grande celebrazione. Ma ciò a cui sono più legato sono tutte le celebrazioni del Giubileo, in particolare quella dell’apertura della Porta Santa. Era una celebrazione ecumenica e universale: l’avevamo preparata con il suono dei corni dell’Africa, i profumi e la decorazione della porta che veniva dall’Asia, i fiori che accompagnavano il Papa verso l’altare che erano dell’America Latina. Erano rappresentati tutti i continenti, tutta la Chiesa. Una grande celebrazione, anche se il Papa non stava bene, aveva il corpo in difficoltà.

Come si gestisce un Papa malato?

Abbiamo fatto in modo che lo svolgimento delle celebrazioni da lui presiedute fossero dignitose fino all’ultimo. Quando faticava a camminare, abbiamo fatto in modo che svolgesse la processione in una pedana mobile. Poi faticava a stare in piedi, e allora abbiamo creato un ascensore vicino all’altare, adattato in modo che sembrava che il Papa stesse in piedi … così si è riusciti a salvaguardare la dignità della celebrazione.

Tra le idee per il Giubileo c’era anche quella di redigere una preghiera per la fine dei tempi…

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Sì. Io avevo proposto al Papa una preghiera eucaristica nuova. Sappiamo che nell’antichità la preghiera eucaristica era fatta sul momento… Per il Giubileo del 1975, il cui tema era la riconciliazione, sono state redatte due preghiere eucaristiche, che sono state poi inserite nel Messale italiano. Per questo, io proponevo che anche nel grande giubileo del 2000 si facesse una preghiera eucaristica sull’escatologia, un aspetto così attuale, ma così mancante nella liturgia romana. Ma poi non se ne fece nulla