Cosa ha chiesto ai sacerdoti?
Voglio che da sacerdoti che lavorino in gruppo, che si organizzino a vivere insieme in due o tre. Questa mia politica ha attirato molti candidati. Lascio una diocesi con 55 seminaristi, e ci sono 28 membri di questa fraternità. Sono così numerosi che non ho giudicato giusto rimanessero tutti nella diocesi di Malines-Bruxelles e ho creato un collegamento con il vescovo di Bayonne, che ha ricevuto un sacerdote e quattro seminaristi.
Quali sono i progetti ora?
Avremo ordinazioni di giovani per assicurare un po’ il futuro del ministero pastorale. Ho affidato a cinque sacerdoti due parrocchie in Bruxelles, una piccola parrocchia popolare in un vicolo con case popolari alla frontiere di Linkebeek e lì svolgono un bell’impegno pastorale tra gente semplice: la parrocchia era chiusa da due anni. Ho affidato loro anche un’altra chiesa che era chiusa, Santa Caterina. Adesso, lì ogni giorno si fanno adorazione, confessione, due Messe.
Quale è invece la situazione della liturgia?
Migliorare la qualità della liturgia era un’altra mia priorità. La liturgia deve avere due qualità: deve lasciar risplendere la bellezza, la gloria di Dio e deve anche parlare al cuore della gente; dunque deve riferire alla gloria di Dio, all’amore di Gesù Cristo, alla presenza dello Spirito Santo, ma anche toccare il cuore dei fedeli presenti. In Bruxelles, nella parte francofona della diocesi, la situazione della liturgia è abbastanza buona, anche se è ancora possibile progredire. Ma nella parte fiamminga, come in tutta la parte fiamminga del Paese, la liturgia in molte parrocchie si è appiattita. Ho scritto ad ogni parrocchia in cui sono stato, stimolando la gente a pregare con più fervore e anche con il corpo, perché si prega anche attraverso gli atteggiamenti del corpo. Ho anche insistito molto perché la comunione sia vissuta con rispetto, con amore, con bellezza anche, che non sia ricevuta come si mangia una chip. Il “chips eucaristico” purtroppo esiste, ci si comunica in modo triviale. Ho insistito, ma c’è ancora da fare. Io apprezzo molto l’adorazione eucaristica, che è un bel prolungamento della celebrazione, perché una Messa dura un’ora, e non si ha abbastanza tempo per interiorizzare la ricchezza della comunione, mentre l’adorazione dà tempo per essere esposto a quella presenza.
Da quello che racconta, la Chiesa in Belgio è molto viva. Allora perché il Belgio è stato soggetto di questa progressiva secolarizzazione?
Nel passato il Belgio è stato un baluardo della Chiesa cattolica, forse in modo eccessivo. C’è stata quasi una prepotenza della Chiesa cattolica, principalmente nella parte fiamminga del Paese. È successo meno nella parte francofona, dove abbiamo dovuto sempre confrontarci con il liberalismo laico, con il socialismo. Ma nella parte fiamminga la Chiesa cattolica faceva il bello e il cattivo tempo. Quando il verme della secolarizzazione si introduce in una mela di quella specie allora la reazione è molto forte, e si è diventati tanto critici verso la Chiesa. Credo che sia una forma di vendetta, si paga il conto di una presenza troppo dominante e spesso con una forma di autoritarismo. Credo che si spieghi così.
Quale è la situazione delle famiglie nella diocesi?
Anche la cura delle famiglie era una mia precisa priorità. Già da quando ero vescovo a Namur, ho incontrato persone che vivevano in situazioni coniugali irregolari, persone non solo divorziate ma anche risposate, che parlavano del desiderio di un cammino con il Signore a partire dalla loro situazione. Dopo aver incontrato una decina di persone in quelle situazioni, ho deciso di radunarle, e abbiamo organizzato insieme giornate per raccogliere persone divorziate, separate e risposate. Ho sempre provato di incontrare quei fratelli e quelle sorelle, sempre con grande amore, pazienza, benevolenza. Ma gli incontri avvenivano sempre nella verità, con fedeltà al Vangelo, a Gesù, al matrimonio come lui ce lo presenta. Questa esperienza mi ha convinto che è possibile aiutare la gente a vivere quelle situazioni in un cammino di santificazione e di conversione.
Come era la sua pastorale anche per divorziati in una seconda unione?
Quando incontravo divorziati o separati, li aiutavo se possibile a rimanere fedeli al loro matrimonio e anche al consorte, anche se sono separati. Lo facevo con l’aiuto di una comunità che si chiama Communeauté Notre Dame de l’Alliance. E se non potevano, o non volevano, fare quella scelta, e se si risposavano per diverse ragioni, perché si sentivano chiamati a vivere soli, oppure volevano assicurare l’educazione dei figli, allora li aiutavo a fare una scelta autenticamente cristiana ispirandomi alla Familiaris Consortio. E spiegavo loro che, dato che erano risposati, si dovevano astenere dalla comunione perché c’è contraddizione obiettiva tra la nuova ed eterna alleanza eucaristica e l’alleanza coniugale che è stata rotta. E quando si ha un po’ di tempo, in un ambiente di preghiera e di fratellanza, possono accettare quel linguaggio. Nella mia equipe avevo anche divorziati e gente risposata, però che sempre davano una testimonianza fedele all’insegnamento del Vangelo e della Chiesa.
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Come giudica allora la risposta che si è data sulla questione da parte del Sinodo dei vescovi?
Ho l’impressione che nell’ultimo sinodo si sia tenuto - a proposito di quelle situazioni -un linguaggio ambiguo che permette diverse interpretazioni. Questo linguaggio è stato già è recuperato come se fosse uguale ad un accesso alla Comunione che dipende solo dalla propria coscienza o dal parere di un pastore locale. Ma quello che è in gioco è per natura universale Non dipende da situazioni locali, dipende dalla natura stessa dell’alleanza coniugale. Spero che l’esortazione post-sinodale potrà chiarire quelle difficoltà.
In tutto l’impegno della Chiesa oggi non si parla mai delle coppie che vivono nella piena fedeltà e fiducia alla dottrina alla loro unione…
È successo che queste riunioni con le coppie irregolari hanno suscitato una reazione da parte delle coppie “normali.” Allora ho organizzato dei raduni delle coppie per rinnovare l’impegno coniugale. Bellissimo! Hanno partecipato centinaia di coppie. E poi ho anche organizzato, su iniziativa di laici, raduni per le coppie che aspettano un figlio, quindi molte donne con il pancione. Io benedicevo le coppie presenti, e benedicevo bambini già nati e bambini nel seno della madre. E poi abbiamo fatto incontri con i vedovi.
Dall’impegno con le famiglie viene anche l’impegno in società?
Anche questo è stato uno dei mie obiettivi. Il mio predecessore, il Cardinal Danneels, aveva creato un organismo che si chiama Betlemme, un progetto per trasformare case, palazzi, proprietà della Chiesa in case popolari, e questo l’ho molto incoraggiato. Ho provato ad essere molto vicino alla gente, a tutta la gente cristiana che crea iniziative per incontrare quelle difficoltà, quelle situazioni difficili. Ho avuto molti contatti con i candidati allo status di rifugiato, con i profughi.