Città del Vaticano , mercoledì, 5. ottobre, 2022 18:00 (ACI Stampa).
“La pace, meraviglioso dono di Dio, « della quale — come afferma Agostino — nessuna cosa, fra quelle terrene e mortali, è più gradita e più desiderabile, nessuna è assolutamente migliore »; la pace, che per più di quattro anni è stata implorata dai voti dei buoni, dalle preghiere dei fedeli e dalle lacrime delle madri, finalmente ha cominciato a risplendere sui popoli, e Noi per primi ne godiamo. Senonché troppe ed amarissime ansie conturbano questa gioia paterna; infatti, se quasi ovunque la guerra in qualche modo è finita e sono stati firmati alcuni patti di pace, restano tuttavia i germi di antiche inimicizie”. Così scriveva Papa Benedetto XV nell’enciclica Pacem Dei munus pulcherrimum, pubblicata il 23 maggio 1920.
“Non occorre certamente che Ci dilunghiamo troppo – proseguiva il Pontefice - per dimostrare come l’umanità andrebbe incontro ai più gravi disastri, se, pur concordata la pace, continuassero tra i popoli latenti ostilità ed avversioni. Non parliamo dei danni di tutto ciò che è frutto della civiltà e del progresso, come i commerci, le industrie, le arti, le lettere: beni che fioriscono soltanto in seno alla tranquilla convivenza dei popoli. Ma ciò che più importa, ne verrebbe gravemente colpita la stessa vita cristiana, che è essenzialmente fondata sulla carità, tanto che la stessa predicazione della legge di Cristo è chiamata Vangelo di pace”.
Benedetto XV citava la frase di Gesù sulla croce: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Noi pertanto che per primi dobbiamo imitare la misericordia e la benignità di Gesù Cristo, di cui, senza alcun merito, teniamo le veci, perdoniamo di gran cuore, sul suo esempio, a tutti e singoli i Nostri nemici che, consapevoli o inconsci, ricoprirono o coprono anche ora la persona e l’opera Nostra con ogni sorta di vituperi, e tutti abbracciamo con somma carità e benevolenza, non tralasciando alcuna occasione per beneficarli quanto più possiamo. Ciò stesso sono tenuti a praticare i cristiani, veramente degni di tale nome, verso coloro dai quali, durante la guerra, ricevettero offesa”.
“La carità cristiana – ricordava ancora il Pontefice - non si limita a non odiare i nemici o ad amarli come fratelli, ma vuole anche che facciamo loro del bene”.
Ai Vescovi il Papa chiedeva di adoperarsi “il più possibile non solo per indurre i fedeli a deporre gli odii e a condonare le offese, ma anche per promuovere con maggiore intensità tutte quelle opere di cristiana beneficenza, che siano di aiuto ai bisognosi, di conforto agli afflitti, di presidio ai deboli, e che arrechino insomma un soccorso opportuno e molteplice a tutti coloro che hanno riportato dalla guerra i maggiori danni”.