Si inizia con il tema della Rivelazione come “illuminazione” tramite Dio, la fede come luce, recuperando la parola “illuminismo” e sottraendola al razionalismo. Cristo è il Verbo eterno che illumina tutti gli uomini.
E la Rivelazione che si attua tramite la dottrina ma tramite la liturgia: “La liturgia non è un lusso che la Chiesa si permette, finalizzato alla sua autorappresentazione, in modo da poterla plasmare a nostro piacimento, secondo le sole leggi della plausibilità e dellʼattrattiva. Anzi, la liturgia è un locus theologicus, in cui il popolo rende presente la dimensione indescrivibile della fedeltà e della presenza di Dio, al di là di quanto possa essere contenuto in una dottrina”.
C’è poi la unità della Rivelazione nella Creazione e nella storia: “la più recente risonanza di questa visione si trova nellʼenciclica Laudato si‘ di Papa Francesco, dove egli insiste sul legame intrinseco che esiste tra natura e Rivelazione, tra Creazione e redenzione” spiega Müller.
La Scrittura è poi “anima della teologia”, e inoltre “la Dei Verbum ha messo nuovamente in evidenza la consapevolezza dellʼunità intrinseca della Sacra Scrittura composta da Antico e Nuovo Testamento.”
Interessante la relazione tra Rivelazione e misericordia. Spiega il cardinale: “la divina misericordia non è soltanto un qualche isolato atto di perdono dei nostri peccati (lo è anche), ma si colloca nel più intimo della comunicazione di Dio stesso. La Rivelazione è fondamentalmente misericordia divina proprio perché non è unʼinteressante rivelazione di verità soprannaturali, ma lʼavvenimento della comunicazione tra Dio e il suo popolo”.
Ma la De Verbum deve anche affrontare delle sfide oggi. Lo sfondo è quello della teologia pluralista delle religioni. E oggi “la critica che la Rivelazione biblica rivolge alle religioni e ai loro dei, è ritenuta responsabile per lʼindisturbato assorbimento tecnologico della natura; la chiara professione dellʼunico vero Dio, propria del monoteismo, viene accusata di intolleranza e violenza intrinseca”.
Una sfida che arriva soprattutto dal mondo occidentale che “parte dal presupposto che Dio rimanga un mistero e che non esista religione in grado di nominarlo e mostrarlo in toto. Il giudaismo e il cristianesimo – e cioè le forme istituzionalizzate della fede biblica sin dai tempi di Abramo – vengono poi sussunti come due forme delle tante “religioni” esistenti. In questo modo, si tralasciano soprattutto le affermazioni della teologia della Rivelazione, che la Dei Verbum riporta in modo sistematico”.
Altra sfida è la questione della “realtà della vita” come locus theologicus. Il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede spiega che “il cristianesimo non è una religione del Libro, come si ama definirlo, ma Rivelazione divina nella storia del popolo che Egli ha scelto a questo scopo. Per questa ragione, il principio della sola scriptura non è mai stato sufficiente per trovare una misura per una vita di fede. La teologia cattolica invece ha coniato la formula “Scrittura e tradizione”, che, essendo fondamentalmente niente di nuovo, significava soltanto lʼapplicazione di quel principio che fece parlare già nel giudaismo di una tradizione scritta e di una tradizione orale”.
Una delle questioni aperte è che “oggi la tradizione della Chiesa – anche quella che ha conosciuto un vivido progresso – viene spesso e volentieri compresa come “principio generale” e “dottrina astratta”, oppure caratterizzata come “ideale” irraggiungibile, che non avrebbe alcuna “capacità di connessione con le odierne costellazioni mondane“ e perciò nessuna rilevanza per lʼuomo nella sua situazione concreta”. Ma “la visione che contrappone la dottrina della Chiesa, la sua tradizione e la verità vissuta dagli uomini del nostro tempo, quasi fossero delle alternative reciproche, è errata. La Dei Verbum ci indica unʼaltra direzione”. E aggiunge: “Le indicazioni ci dicono che la “realtà della vita” per noi rilevante non è una qualsiasi realtà che ha a che fare con la vita; non è compito della statistica o dell’opinione riportata dalla stampa, ma si tratta della realtà della vita in obbedienza alla fede pienamente realizzata e vissuta (cfr. Rm 1,5), oppure – cristologicamente parlando – della sequela di Cristo. È vero: bisogna prendere sul serio le biografie degli uomini con i loro progressi, le loro crepe. Poiché anche noi cristiani non dobbiamo farci un’immagine illusoria della nostra vita. Dobbiamo affrontare la nostra realtà. E non lo facciamo fabbricando di essa una norma su come Dio dovrebbe vedere noi e il mondo, ma confrontando la nostra debole, fragile vita con il disegno divino, collocandola allʼinterno della “luce della fede” che nonostante non sappia tutto, sa illuminare tutto”.
In conclusione la Dei Verbum è un invito all’ascolto della Parola per la Chiesa e per gli uomini con con quel desiderio che i Padri espressero 50 anni fa: “che il tesoro della Rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre di più il cuore degli uomini”.
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