Per Papa Francesco non si può parlare di transizione ecologica ma restare “dentro il paradigma economico del Novecento, che ha depredato le risorse naturali e la terra”, altrimenti “le manovre che adotteremo saranno sempre insufficienti”.
E allora, aggiunge Papa Francesco, è tempo “di un nuovo coraggio nell’abbandono delle fonti fossili di energia e di accelerare lo sviluppo di fonti a impatto zero e positivo” accettando “il principio etico universale che i danni vanno riparati”, e che dunque “se siamo cresciuti abusando del pianeta e dell’atmosfera, oggi dobbiamo imparare a fare anche sacrifici negli stili di vita ancora sostenibili”.
Per Papa Francesco, “occorre un cambiamento rapido e deciso”, in una realtà nelle dimensioni “sociale, relazionale e spirituale”.
Papa Francesco ricorda che la dimensione sociale “comincia ad essere riconosciuta”, dato che ci si rende conto che “il grido dei poveri e il grido della terra sono lo stesso grido”, e dunque lavorare per la transizione ecologica significa “tenere presenti gli effetti che alcune scelte ambientali producono sulle povertà”, prediligendo “quelle che riducono la miseria e le diseguaglianze”, cercando di non “trascurare l’uomo e la donna che soffrono”.
Denuncia Papa Francesco: “L’inquinamento che uccide non è solo quello dell’anidride carbonica, anche la diseguaglianza inquina mortalmente il nostro pianeta”.
Alle ingiustizie sociali, Papa Francesco aggiunge le ingiustizie politiche, e cita l'esempio dei Rohingya.
Papa Francesco nota anche una “insostenibilità delle nostre relazioni”, perché sono anche le relazioni che “si stanno impoverendo”, e la famiglia “soffre una grave crisi, e con essa l’accoglienza e la custodia della vita”.
Il Papa nota che “il consumismo attuale cerca di riempire il vuoto dei rapporti umani con merci sempre più sofisticate – le solitudini sono un grande affare nel nostro tempo! –, ma così genera una carestia di felicità”.
E cita l'inverno demografico, ma anche "la schiavitù della donna che non può essere madre perché appena resta incinta la buttano fuori dal lavoro".
Papa Francesco infine denuncia una “insostenibilità spirituale” che c’è nel capitalismo. Per il Papa, “il primo capitale di ogni società è quello spirituale, perché è quello che ci dà le ragioni per alzarci ogni giorno e andare al lavoro, e genera quella gioia di vivere necessaria anche all’economia”. Ma il nostro mondo “sta consumando velocemente questa forma essenziale di capitale accumulata nei secoli dalle religioni, dalle tradizioni sapienziali, dalla pietà popolare. E così soprattutto i giovani soffrono per questa mancanza di senso: spesso di fronte al dolore e alle incertezze della vita si ritrovano con un’anima impoverita di risorse spirituali per elaborare sofferenze, frustrazioni, delusioni e lutti”.
I giovani sono fragili perché hanno “carenza di capitale spirituale”, che è un “capitale invisibile ma più reale dei capitali finanziari e tecnologici”. Sì, afferma il Papa, “la tecnica può fare molto”, perché dice cosa e come fare, ma non dice “il perché”, e così “le nostre azioni diventano sterili e non riempiono la vita, e nemmeno la vita economica”.
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Papa Francesco chiede di “impegnarsi a mettere al centro ai poveri”, perché “senza la stima, la cura, l’amore per i poveri, per ogni persona povera, per ogni persona fragile e vulnerabile, dal concepito nel grembo materno alla persona malata e con disabilità, all’anziano in difficoltà, non c’è ‘Economia di Francesco’.”
Il Papa dice che “un’economia di Francesco non può limitarsi a lavorare per o con i poveri”, perché “sino a quando il nostro sistema produrrà scarti e noi opereremo secondo questo sistema, saremo complici di un’economia che uccide”.
Per Papa Francesco, più che quello che riusciamo a fare, la risposta sta “nell’aprire cammini nuovi perché gli stessi poveri possano diventare protagonisti del cambiamento”. Il Papa nota che “la prima economia di mercato è nata nel Duecento a contatto quotidiano con i frati francescani, che erano amici di quei primi mercanti”, facendo una economia che “creava ricchezza, ma non disprezzava la povertà”, mentre il capitalismo di oggi vuole “aiutare i poveri, ma non li stima”.
Sottolinea Papa Francesco: “Noi non dobbiamo amare la miseria, anzi dobbiamo combatterla, anzitutto creando lavoro, lavoro degno. Ma il Vangelo ci dice che senza stimare i poveri non si combatte nessuna miseria”.
Il Papa invita allora ad abitare i paradossi evangelici, lasciando tre indicazioni: guardare il mondo con gli occhi dei più poveri, “dalla prospettiva delle vittime e degli scartati”; non dimenticarsi dei lavoratori, perché “senza lavoro degno e ben remunerato i giovani non diventano veramente adulti, le diseguaglianze aumentano. A volte si può sopravvivere senza lavoro, ma non si vive bene”; e la “incarnazione”, perché “nei momenti cruciali della storia, chi ha saputo lasciare una buona impronta lo ha fatto perché ha tradotto gli ideali, i desideri, i valori in opere concrete. Oltre a scrivere e fare congressi, questi uomini e donne hanno dato vita a scuole e università, a banche, a sindacati, a cooperative, a istituzioni”.
Conclude l Papa: “Il mondo dell’economia lo cambierete se insieme al cuore e alla testa userete anche le mani. Le idee sono necessarie, ci attraggono molto soprattutto da giovani, ma possono trasformarsi in trappole se non diventano ‘carne’, cioè concretezza, impegno quotidiano”.