“Diciannove anni di lavoro – ha sottolineato ancora il Cardinale Stella - la causa di Papa Luciani, anche se si è aperta a 25 anni dalla morte, non è stata né più lunga di altre, né più breve e agevolata di altre, per essere lui un Pontefice della Chiesa. È stata una ricerca senza sconti: accurata, coscienziosa, scrupolosa, condotta con metodo storico-critico, sulla base di una seria e omnino plena investigazione delle fonti archivistiche, di una mirata ricerca bibliografica e di un ricco panorama testimoniale. Tutto è stato fatto secondo le regole canoniche, con scienza e coscienza da parte di chi vi ha lavorato per anni con passione e dedizione. Di Luciani metterei in evidenza tre caratteristiche: sacerdote che pregava, che viveva poveramente e che si sentiva bene con la gente.”.
“La santità di vita cristiana di Giovanni Paolo I – ha concluso il Cardinale Stella - è quella che si vive nella umiltà e nella dedizione quotidiana alla Chiesa e al prossimo, ispirate dalle virtù teologali, praticate con fervore interiore, e dove la croce e il sacrificio, e talvolta l’umiliazione, hanno da contribuire a rendere il discepolo di Gesù più vicino al suo Signore. Una fede che va all’essenziale del Vangelo, che è annuncio e pratica della carità. Da prete, vescovo e Papa è stato capace di manifestare attraverso la sua vita la tenerezza di un Dio misericordioso e materno. La santità di Papa Luciani è importante per la Chiesa e per il mondo di oggi. Ci testimonia il volto di una Chiesa umile, laboriosa e serena, preoccupata della sequela del suo Signore, lontana dalla frequente tentazione di misurare l’incidenza e il valore del Vangelo dallo stato di opinione della gente, o della società, nei propri confronti. Albino Luciani ci ha insegnato attraverso la sua testimonianza di vescovo, che ha a cuore la dimensione universale della Chiesa, l’importanza dell’amore generoso e dell’obbedienza incondizionata al Successore di Pietro, così come il grande valore dell’unità e della comunione episcopale”.
Particolarmente toccante la testimonianza di Suor Margherita Marin, una delle religiose che si è occupata di Giovanni Paolo I assistendolo nell’appartamento del Palazzo Apostolico.
“Nel corso di quel mese – ha ricordato la religiosa - io l’ho veduto sempre tranquillo, sereno, sicuro. Sembrava che avesse fatto da sempre il Papa. Anche nella preghiera si vedeva che era unito al Signore. Sapeva trattare con i suoi collaboratori con molto rispetto, scusandosi per recare disturbo. Non l’ho mai visto avere gesti di impazienza con qualcuno, mai. Infondeva coraggio. Era affabile con tutti”.
“L’ultimo giorno fu come gli altri. Quel pomeriggio lì – ha detto ancora la suora - rimase sempre in casa, non si mosse mai dall’appartamento e non ricevette nessuno perché ci disse che stava preparando un documento ai vescovi. Io non so però a quali vescovi fosse indirizzato. Dopo cena ricevette la chiamata del cardinale di Milano Giovanni Colombo. Non ricordo esattamente quanto tempo rimase in quella conversazione, forse una mezza ora. Dopo venne da noi, come faceva sempre, per salutarci prima di ritirarsi nel suo studio. Ricordo che mi chiese quale messa gli avessi preparato per il giorno seguente e gli risposi: «Quella degli Angeli». Ci augurò la buona notte con le parole che ogni sera ci ripeteva: «A domani, suore, se il Signore vuole, celebriamo la messa insieme». Ho impresso ancora nella memoria un particolare di quel momento lì: eravamo tutte assieme nel salottino con la porta aperta, la porta era proprio davanti a quella dello studio privato, e quando, dopo averci già salutato, il Santo Padre è stato sulla porta dello studio, si è girato ancora una volta e ci ha salutato di nuovo, con un gesto della mano, sorridendo... mi sembra di vederlo ancora lì sulla porta. Sereno come sempre. È l’ultima immagine che mi porto di lui”.
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