Roma , giovedì, 25. agosto, 2022 16:00 (ACI Stampa).
Doveva essere un viaggio di andata e ritorno. E, invece, San Giuseppe Calasanzio, proveniente dalla Spagna, si fermerà a Roma per ben trentasei anni, fino a quel 25 agosto del 1648, giorno della sua morte. Fu Papa Benedetto XIV a beatificarlo nel 1748; Papa Clemente XIII, a canonizzarlo nel 1767.
A Roma, Calasanzio rimase colpito dai rioni popolari, soprattutto da tutto quell’universo giovanile di miseria e di ignoranza che popolava le vie della Città Eterna: si doveva fare qualcosa per loro, bisognava riscattarli da quella condizione di povertà estrema in cui versavano. E così, nel cuore del santo, maturò - per ispirazione divina - un progetto, una visione: salvare quei giovani, realizzando le loro aspirazioni più intime; salvarli dalla strada. Ma come rendere fattibile questo sogno? Il santo ebbe un’idea che all’epoca poteva davvero risultare alquanto rivoluzionaria: istituire per loro delle scuole quotidiane e gratuite, con programmi ben definiti, suddivise in classi. Le materie da insegnare: la fede, la morale e le scienze umane. Fu così che mentre prestava la sua opera nella scuola fondata dal parroco di Santa Dorotea in Trastevere, il santo aprì - nel 1597 - la prima scuola popolare gratuita in Europa.
Questa nuova impresa avrà sede nel palazzo della famiglia nobiliare dei Torres, dietro la chiesa di San Pantaleo, a pochi passi da Piazza Navona. La costruzione di questo antico palazzo, sorto sui resti dell'Odeon di Domiziano, risale agli inizi del XVI secolo. Nel 1612 fu ceduto dal nobile Ludovico Torres a San Giuseppe Calasanzio grazie all'intercessione del Cardinale Benedetto Giustiniani.
E sempre questo palazzo ospiterà la stanza dove visse il santo. Ancora oggi quella stanza è lì, intatta; contiene oggetti e suppellettili appartenuti a Calasanzio: il letto; la poltrona; il suo tavolino; l’inginocchiatoio; la sedia e i suoi sandali. Nei grandi armadi settecenteschi sono custoditi altri oggetti: i libri; il suo cappello e i paramenti sacri; la biancheria; la sua brocca d’acqua; la penna e i suoi occhiali. Sembra che il tempo, qui, si sia fermato, tutto respira d’antico. Persino il pavimento di mattoni è quello originale, così le pareti, così le porte e le finestre. Vi è, poi, la sala detta “delle reliquie”, dove si conservano incorrotti il cuore, la lingua, il fegato, la base delle meningi e la milza.
Ma l’ex palazzo Torres ospita non solo la sua stanza: vi è, infatti, una cappella fatta costruire dallo stesso santo per le attività della comunità e per quelle scolastiche. E’ proprio in questo luogo sacro che Calasanzio riceverà l’ultima comunione. Un mirabile affresco del 1819 di Francisco Goya, allievo dei Padri Scolopi a Saragozza, ha immortalato la scena: il santo è in ginocchio, davanti al sacerdote che ha in mano l'eucaristia; il tutto è immerso in un gioco di ombre e di luce; spicca, in tutto questo chiaroscuro di colori, il cuscino rosso posto sotto le ginocchia di Calasanzio; il momento è colto in tutto il suo misticismo.