Gallagher ha anche sottolineato che il Papa sta studiando la storia e i cambiamenti storici, e ha spiegato che “la posizione della Chiesa negli ultimi anni è cambiata molto, senza dubbio, quando un sistema non è criticato né messo sotto sfida, può perdere il suo sentimento”:
Secondo Gallagher, la fede cattolica in Costa Rica è molto importante, perché è “molto forte la ricchezza della tradizione cattolica. L’intenzione è di creare benefici per il popolo. La Chiesa non cerca mai privilegi né un trattamento speciale.
L’atto accademico cui ha partecipato il “ministro degli Esteri” vaticano era sul tema “Lo Stato laico e la libertà religiosa”.
La Università Cattolica del Costa Rica è l’istituzione di educazione superiore della Conferenza Episcopale del Costa Rica, che la fondò quasi trenta anni fa con la visione di offrire una opzione educativa di qualità con un sentimento sociale, umanista e focalizzato sulla formazione dei formatori.
L’arcivescovo Gallagher in Honduras
Il 27 giugno, l’arcivescovo Gallagher si è incontrato con Xiomara Castra, presidente dell’Honduras, in quella che è stata una visita a sorpresa nel Paese.
Castra e Gallagher si sono incontrati nella Casa Presidenziale a Tegucigalpa, come dichiarato da un tweet dell’ufficio stampa della presidenza.
Tra gli inconri di Gallagher, anche quello di Eduardo Enrique Reina, ministro degli Esteri honduregno.
La presenza dell’arcivescovo Gallagher in Honduras è durata dal 25 al 28 giugno. Tra i suoi appuntamenti, anche una messa celebrata nella Basilica Minore di Suyapa.
Mentre la visita di Gallagher in Costa Rica era attesa, quella in Honduras è arrivata un po’ a sorpresa. Il “ministro degli Esteri” vaticano è stato presentato quasi a sorpresa ai fedeli durante la Messa della domenica dal Cardinale Oscar Andrés Rodriguez Maradiaga, coordinatore del Consiglio dei Cardinali.
L’arcivescovo Gallagher ha quindi incontrato il 27 giugno Enrique Reina, ministro degli Affari Interni, oltre alla presidente Castro, moglie dell’ex presidente Manuel Zelaya, rovesciato nel 2009.
La visita di Gallagher in Honduras e Costa Rica sarebbe il segno di una presenza più importante della Santa Sede nella regione dell’America Centrale, un dato importante considerando la particolare situazione del Nicaragua, dove la nunziatura è ancora vacante e la Chiesa è sotto attacco.
Nicaragua, ancora sotto attacco la Chiesa Cattolica
Non solo è stata abolita la figura del decano del Corpo diplomatico, ed espulso senza un motivo apparente l’arcivescovo Waldemar Sommertag, nunzio apostolico. In Nicaragua, il governo di Daniel Ortega continua ad attaccare la Chiesa Cattolica.
Nella scorsa settimana, il governo ha deciso che l 'istituto religioso delle Missionarie della Carità, fondato e insidiato a Managua nel 1986 da Madre santa Teresa di Calcutta, deve lasciare il Paese perché non ha rispettato le leggi su "trasparenza finanziaria, finanziamento del terrorismo e finanziamento della proliferazione di armi di distruzione di massa”.
Secondo il ministero degli Interni, la Congregazione religiosa opera anche in un settore e attività di cui non ha avuto autorizzazioni da parte del ministero per la Famiglia, della pubblica istruzione e della sanità. La missionarie avevano asili nido, un centro di assistenza per l’infanzia e per anziani o disabili adulti o anche per accompagnare casi di deficit di apprendimento – attività per cui le Missionarie non prendono fondi governativi, ma che finanziano attraverso benefattori.
La Conferenza Episcopale Nicaraguense non si è ancora pronunciata in attesa della risoluzione finale del Parlamento, dove la discussione sul tema è stata già rinviata due volte.
Ma non solo. Dopo aver chiuso il 21 maggio scorso la tv dell'Episcopato, "Canale 51", il governo Ortega ha fatto chiudere il canale tv della diocesi di Matagalpa (nord del Paese) chiamato "Tv Merced".
La notifica della cessazione delle trasmissioni è arrivato da Telcor, l'Istituto governativo per il controllo e gestione delle telecomunicazioni, ha notificato, il 27 giugno. Il provvedimento è al culmine di una serie di sanzioni applicate da elcor contro il canale della diocesi di Matagalpa, il cui vescovo, Rolando Alvarez, non è gradito al governo, e per questo è stato vittima di una vera persecuzione. Lo stesso Alvarez ha comunque fatto sapere che il canale continuerà le sue trasmissioni via web.
Il messaggio di Papa Francesco alla Colombia
Il 28 giugno, in Colombia, è stato letto il rapporto finale della Commissione della Verità creata nel 2016 a seguito dell’accordo di pace siglato tra il governo colombiano e le Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (FARC). Per l’occasione, Papa Francesco, che fu promotore dell’accordo di pace e volle che alla firma fosse presente il Cardinale Parolin, segretario di Stato, ha inviato un messaggio in cui ha chiesto alla Colombia di coninuare a seguire il percorso della riconciliazione.
La guerra civile colombiana ha causato l’assassinio di almeno 260 mila persone a partire dal 1964. Alla presentazione del rapporto, c’erano anche Gustavo Petro, presidente eletto di Colombia, e quello che sarà il suo vice Francia Marquez; e il ministro degli Interni Daniel Palacios, che ha rappresentato il presidente colombiano ancora in carica Ivan Duque, assente a causa di un impegno internazionale.
Nel messaggio, Papa Francesco ha incoraggiato i membri della commissione e le autorità nazionali e internazionali che hanno ricevuto il rapporto di “continuare percorsi di riconciliazione che aiutano a rafforzare la fraternità, ad essere artigiani di pace, a creare processi di reincontro e a lavorare insieme nella ricerca del bene comune”.
Come detto, la Commissione per il Chiarimento della Verità, la Coesistenza e la Non Ripetizione è uno dei frutti dell’accordo dell’Avana. La commissione, che punta a determinare cosa sia successo in 50 anni di conflitto armato, è composta da 11 membri, ed è presieduta dal padre gesuita Francisco de Roux. Ha cominciato il suo lavoro nel 2018, e ha intervistato circa 27 mila persone, incluse vittime, ex membri della FARC, personale miliare ed ex presidenti colombiani.
La Commissione, un organismo temporaneo, ha presentato il 28 giugno solo il primo dei 10 capitoli che la compongono è stata pubblicata. Gli altri 24 volumi, di circa 8 mila pagine, saranno messi a disposizione entro i prossimi 2 mesi
FOCUS AFRICA
Morte dei migranti di Ceuta e Melilla, la posizione del Marocco
Con una nota, l’Ambasciata del Regno del Marocco presso la Santa Sede ha condiviso diverse informazioni riguardanti la tragedia di Nador del 24 giugno. In quel giorno, 23 migranti che cercavano clandestinamente di passare il confine con la Spagna verso le exclaves di Ceuta e Melilla sono rimasti uccisi, mentre altri 76 sono rimasti feriti, così come 140 agenti delle forze dell’Ordine.
Il tentativo di forzare il confine è stata descritta dall’ambasciata come “un'operazione svolta da reti mafiose internazionali organizzate, che praticano la tratta di esseri umani portando migranti dall'esterno del territorio del Regno del Marocco”.
Inviando dei video, l’ambasciata nota che “l'assalto, infatti, è stato compiuto con grande violenza, in maniera pianificata, con capi stagionati e addestrati, armati di machete, pietre, coltelli e bastoni, per attaccare le forze dell'ordine”.
L’assalto ha avuto delle conseguenze tragiche, e l’ambasciata sottolinea che il Marocco “deplora questa tragedia umana”.
Tuttavia, aggiunge, il Regno del Marocco “continuerà ad agire con fermezza e incessante contro le reti di trafficanti e questa minoranza violenta che distorce la dimensione nobile della migrazione e rafforzerà la sua cooperazione con i suoi partner nel quadro della responsabilità condivisa e della sua maggiore contributo alla sicurezza regionale”.
L’ambasciata rivendica che il Regno del Marocco ha sempre chiesto una “migrazione umanista, globale, pragmatica e responsabile, facendo del Regno del Marocco una terra di accoglienza”, tantto che l’immigrazione in Marocco è strutturata e regolata da una Strategia Nazionale per l'Immigrazione e l'Asilo (SNIA), avviata nel 2013, mentre la Royal Initiative, ha portato avanti iniziative come “l’Osservatorio Africano delle Migrazioni” e l’Agenda africana delle migrazioni”.
Un piano, lo SNIA, che portato “più di 50.000 cittadini di paesi africani ad essere regolarizzati e hanno beneficiato di un piano nazionale di integrazione, che consente loro di accedere a servizi sociali, educativi, medici ed economici, come cittadini marocchini.
L’ambasciata sottolinea anche che “il Regno del Marocco sta conducendo una lotta spietata contro le reti di traffico, con oltre 1.300 reti smantellate negli ultimi 5 anni (tra cui 100 reti smantellate fino a maggio 2022).”
FOCUS SEGRETERIA DI STATO
La relazione di Francesca Di Giovanni a Carità Politica
Francesca Di Giovanni, sottosegretario per il multilaterale della Seconda Sezione della Segreteria di Stato, è intervenuta negli scorsi giorni ad una conferenza organizzata dall’Associazione Internazionale Carità Politica su “L’importanza di un multilateralismo rinnovato e fondato sulla fratellanza, la solidarietà e il bene comune”.
Nel suo intervento, Di Giovanni ha detto che alla vocazione politica corrisponde una “risposta di fraternità”, intesa come “un disegno polittico più ampio”, che non cancella distinzioni, “non omologa ma apre” e sa trovare “soluzioni e nuove vie”.
Di Giovanni sottolinea che il contesto è quello di un “fragilissimo” Stato delle relazioni internazionali e del multilateralismo, perché, a 75 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dalla creazione di istituzioni come le Nazioni Unite che avrebbero dovuto favorire in dialogo tra le nazioni, viviamo invece in uno scenario che Papa Francesco non ha esitato a definire di “Terza Guerra Mondiale a pezzi”.
In pratica, “l’ordine internazionale del dopoguerra e le sue istituzioni” non sono riuscite a raggiungere “il loro obiettivo di pace permanente e hanno, come minimo, un disperato bisogno di riforme e rinnovameno”.
Di Giovanni ha anche notato che la Santa Sede sostiene instancabilmente “la cooperazione internazionale, il confronto aperto e rispettoso su diritti e doveri fondamentali, il dialogo per raggiungere un risultato positivo per gli interlocutori, senza distinzioni di potere e di ricchezza”.
Di Giovanni ha ricorda che lo stesso Papa Francesco, nella Fratelli Tutti, ha osservato che “l’incontro non può essere fondato su diplomazie vuote, doppiezze, maniere”.
Le Nazioni Unite – ha aggiunto il sottosegretario vaticano – nascono con l’idea di “salvare le generazioni successive dal flagello della guerra”, ma questi obiettivi “sono stati difficili, se non impossibili da raggiungere”, perché “in pratica, mentre gli Stati inizialmente consentivano sui valori da perseguire, spesso non trovavano l’accordo sul loro contenuto. Di conseguenza, nel corso degli anni abbiamo visto che l’interpretazione di questi principi e valori è stata oggetto di un notevole disaccordo”.
Di Giovanni denuncia la chiusura nelle discussioni su temi cruciali come il diritto alla vita e persino la libertà di religione.
Una chiusura che si nota nelle negoziazioni delle risoluzioni all’Onu, durante le quali “gli Stati e persino le organizzazioni con più soft power e influenza cercano di controllare la narrativa e forzano l’accordo su termini e concetti controversi che impediscono di fatto un vero consenso”, tutto diventa “soggettivo” e l’unico ideale comune diventa la “praticità”, andando a minare non solo il consenso, ma anche “la solidarietà e la fraternità”.
Da qui, il rifiuto da parte di molti Stati di raggiungere un accordo “sulla consegna degli aiuti umanitari”, la promozione del cosiddetto “diritto all’aborto”, la negazione degli obblighi nei confronti di migranti e rifugiati.
Il Cardinale Parolin a Marsiglia
Lo scorso 25 giugno, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è stato a Marsiglia, dove a celebrato messa nel santuario di Notre-Dame-de-la-Garde.
Parolin è il primo Segretario di Stato vaticano a visitare Marsiglia, ed è stato nella città portuale, il cui arcivescovo Jean-Marc Aveline riceverà la porpora nel prossimo concistoro, per celebrare il terzo centenario del voto fatto dalle autorità politiche nella solennità del Sacro Cuore per liberare Marsiglia dalla peste.
La consacrazione della città si rinnova ogni dal 1722, con la sola interruzione della Rivoluzione Francese che ne aveva bloccato la celebrazione dal 1789 al 1807.
Durante la visita, Parolin ha celebrato messa nella cattedrale “de la Major,” e poi presso la Basilica del Sacro Cuore.
Nell’omelia in Cattedrale, ha attualizzato la parabola del buon Pastore, che assume un significato particolarmente incalzante in una città come Marsiglia, “porta d'Oriente e porta d'Occidente, europea e mediterranea allo stesso tempo”, i cui abitanti sono chiamati a un’apertura generosa, che, invece di temere la distruzione dell’identità locale, è capace di creare nuove sintesi culturali, superando malsane sfiducie e integrando i diversi.
I contenuti della parabola della pecorella smarrita sono stati ripercorsi anche nel Sacro Cuore, quando il Cardinale ha ricordato le “mille correnti di santità” che hanno contribuito alla diffusione della devozione al Sacro Cuore: da san Bonaventura a sant’Alberto Magno, da santa Gertrude a santa Caterina da Siena, da san Pietro Canisio a san Francesco di Sales; e poi santa Margherita Maria Alacoque, con le apparizioni di Paray-le-Monial, san Claude de la Colombière, e Pio XI con l’enciclica Miserentissimus Redemptor del 1928.
A Notre-Dame-de-la-Garde, il Cardinale Parolin ha detto che “se continuiamo a scrutare il mare”, si può immaginare anche l’arrivo dei primi evangelizzatori che hanno portato “la fede negli inizi del cristianesimo” avviando “una comunità di martiri, santi, monaci, teologi”: da Lazare, il patrono, ai santi Vittore e Giovanni Cassiano, dal vescovo Eugenio de Mazenod ai beati Marie Deluil-Martiny e Jean-Baptiste Fouque.
Poi da Marsiglia “i cristiani risalirono il Rodano” facendone «un punto di partenza per l’evangelizzazione» dell’Europa. E successivamente, “quante barche hanno lasciato il porto per portare missionari in Africa e in Asia”. Ecco perché, ha constatato, «la città merita il motto: ‘Risplende per le sue grandi opere’.”
Parolin ha poi analizzato le sfide della Chiesa di Marsiglia di oggi, dalla missione alla fraternità. E ha ricordato che Marsiglia è un esempio di collaborazione in ambito civile e religioso, una collaborazione che si è poi concretizzata nelle giornate del Meditterraneo di Bari e Firenze. E chissà che non saranno proprio a Marsiglia le prossime giornate del Mediterraneo.
Il Cardinale Parolin in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan
Il Cardinale Pietro Parolin è arrivato ieri in Repubblica Democratica del Congo, dove celebrerà Messa il 3 luglio con il Cardinale Fridolin Abombo, e sarà poi in Sud Sudan per celebrare il 7 luglio la Messa che Papa Francesco avrebbe dovuto celebrare con tutti i fedeli.
Il Cardinale è stato inviato da Papa Francesco a Kinshasa e Juba nei giorni in cui lo stesso Papa sarebbe dovuto essere lì, in un viaggio poi rimandato a causa dei ben noti problemi al ginocchio del Papa.
La venuta del Cardinale Parolin, ha detto padre Samuel Abe, coordinatore generale della visita papale in Sudan, è “principalmente lo scopo di cementare l’impegno del Santo Padre al più presto quando il suo stato di salute migliorerà”.
FOCUS MULTILATERALE
La Santa Sede a Vienna, la questione del traffico degli esseri umani
Dal 29 al 30 giugno, a Vienna, si è riunito il gruppo di lavoro dell’ufficio delle Nazioni Unite su Droga e Crimine per discutere della tratta delle persone.
Nel suo intervento, la Santa Sede ha notato che le misure temporaneo di contenimento del COVID 19 hanno fatto crescere l’uso del web per il reclutamento e lo sfruttamento delle persone vittime di tratta”, cosa che ha reso le vittime “ancora più invisibili e difficili da identificare e salvare”.
In questo, nota la Santa Sede, i numeri sono “allarmanti”, perché solo l’1 per cento delle vittime viene identificato e beneficia di programmi di protezione nazionale”, mentre i trafficanti di esseri umani “spesso manipolano le loro vittime”, portandole ad impegnarsi in “attività fuorilegge, costringendoli così a vivere con la paura di essere perseguiti dalle autorità giudiziaria”. È uno stigma che si accompagna a quello della punizione, nota la Santa Sede, e che “blocca ulteriormente le vittime nella ricerca di protezione, assistenza e giustizia”.
Per la Santa Sede, si deve quindi implementare il principio della “non punibilità” per quanti sono vittime di tratta, portando così ad una più “alta identificazione e protezione delle vittime”. Certo, il riconoscimento è “uno strumento internazionalmente accettato di affrontare traffico di esseri umani”, ma la sua applicazione ha ancora “irregolarità di giurisdizione in giurisdizione”, mentre le vittime non dovrebbero mai sentirsi vittime una seconda vola perché soggetti ad una attività fuori legge”.
Per la Santa Sede, la priorità deve essere dare alle vittime riabilitazione e servizi perché siano reintegrati nella società, mentre i governi sono chiamati a “destinare risorse per formare autorità giudiziarie locali e internazionali perché usino il principio della non punibilità”.
La Santa Sede è consapevole che le risorse allocate per le emergenze COVID hanno fatto perdere una fetta significativa di risorse finanziarie disponibili, limitando alcune delle attività del lavoro della civiltà civile e anche messo a rischio la cooperazione tra le istituzioni governative e le autorità locali, e in più “molti progressi di prevenzione e consapevolezza restano ritardati o anche sospesi”.
Tra i suggerimenti della Santa Sede, anche la messa a punto di un meccanismo di riferimento in ogni nazione che possa identificare e prendersi cura delle vittime e fornire misure protettive che siano fatte su misura per ogni vittima e basate su un approccio multidisciplinare.
Infine, la Santa Sede sottolinea che l’assistenza va garantita a tutti, non solo a quanti vogliono partecipare alle procedure legali.
La Santa Sede a Vienna, sul contrabbando di migranti
Una sessione dell’incontro di Vienna è stata dedicata anche al contrabbando di migranti. La Santa Sede ha notato che i migranti contrabbandati evitano di chiedere protezione per paura di essere poi soggetti a procedimenti legali e a detenzione.
Eppure, nota la Santa Sede, c’è un urgente bisogno globale di “far crescere il numero di percorsi sicuri e legali per le migrazioni”, così come per implementare “le politiche pubbliche basate sulla liberà di transito e sul rispetto per la protezione internazionale dei migranti in situazioni vulnerabili”.
Inoltre, la Santa Sede nota che il ritorno legale di “migranti irregolari dovrebbe essere, ogni qualvolta sia possibile, essere volontario e rispettare i migliori interessi del bambino”.
Se il tema è quello della sicurezza nazionale, la Santa Sede rende noto che la “sicurezza nazionale è impossibile senza la sicurezza umana”, e che una “appropriata sicurezza al confine richiede che tutte le parti rispettino il principio del non refoulment, vale a dire quello di non reinviare i migranti in luoghi in cui sarebbero rischio”, ma anche che “i diritti di tutti i migranti, senza distinzione a seconda del loro status legale, siano protetti”.
La Santa Sede incoraggia anche “la costruzione di relazioni di fiducia tra l’UNODC e i suoi Stati membri, in modo da garantire “fruttuosa preoccupazione non solo sulle migrazioni, ma anche per la promozione di campagne di consapevolezza, per la prevenzione del contrabbando, e per rendere le migrazioni più sicure, ordinate regolari.