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Papa Francesco, lettera sulla liturgia: "Sia curata, non sciatta. No all'estetismo"

Si chiama “Desiderio desideravi” la lettera apostolica con cui Papa Francesco si rivolge ai vescovi del mondo perché curino la liturgia. La continuità con Traditiones Custodes

Papa Francesco | Papa Francesco durante una celebrazione | Daniel Ibanez / ACI Group Papa Francesco | Papa Francesco durante una celebrazione | Daniel Ibanez / ACI Group

Una lettera apostolica al popolo di Dio, chiamata Desiderio desideravi nel giorno dei Santi Pietro e Paolo, per ribadire che la forma liturgica voluta dal Concilio è l’unica forma liturgica della Chiesa. Ma soprattutto per sottolineare l’importanza di una liturgia non sciatta, carica di simboli, centrata sul mistero di Cristo. Una celebrazione, dunque, che non può che venire da una formazione curata e attenta, sia alla presidenza della celebrazione che alla partecipazione.

Papa Francesco riprende il tema della liturgia, in una lettera che è la naturale prosecuzione di quella inviata ai vescovi per la pubblicazione della Traditionis Custodes, con la quale il Papa aveva abolito la liberalizzazione concessa alla celebrazione del rito con forma antica. Ora, il Papa riprende quei temi, facendo leva sulle proposizioni della Plenaria della Congregazione per il Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti del febbraio 2019, ma lo fa con un documento che è più una riflessione personale che un direttorio, scritto in prima persona, che rispecchia l’opinione stessa del Papa. Che sceglie come titolo il brano del Vangelo in cui Gesù dice di aver voluto tanto celebrare la Pasqua con i discepoli.

“Con questa lettera – scrive Papa Francesco - vorrei semplicemente invitare tutta la Chiesa a riscoprire, custodire e vivere la verità e la forza della celebrazione cristiana. Vorrei che la bellezza del celebrare cristiano e delle sue necessarie conseguenze nella vita della Chiesa, non venisse deturpata da una superficiale e riduttiva comprensione del suo valore o, ancor peggio, da una sua strumentalizzazione a servizio di una qualche visione ideologica, qualunque essa sia”.

I nemici della liturgia, per il Papa, sono quelli di sempre, ovvero lo gnosticismo e il neopelagianesimo, frutto della mondanità spirituale, di cui ha parlato nella Gaudete et Exsulate. È il rischio di rimanere chiusi, con l’idea di avere la verità in tasca.

Cosa si legge nel documento? Papa Francesco sottolinea che “la continua riscoperta della bellezza della Liturgia non è la ricerca di un estetismo rituale che si compiace solo nella cura della formalità esteriore di un rito o si appaga di una scrupolosa osservanza rubricale”. Ma questo, aggiunte il Papa, “non vuole in nessun modo approvare l’atteggiamento opposto che confonde la semplicità con una sciatta banalità, l’essenzialità con una ignorante superficialità, la concretezza dell’agire rituale con un esasperato funzionalismo pratico”.

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Papa Francesco nota che “la post-modernità – nella quale l’uomo si sente ancor più smarrito, senza riferimenti di nessun tipo, privo di valori perché divenuti indifferenti, orfano di tutto, in una frammentazione nella quale sembra impossibile un orizzonte di senso – è ancora gravata dalla pesante eredità che l’epoca precedente ci ha lasciato, fatta di individualismo e soggettivismo (che ancora una volta richiamano pelagianesimo e gnosticismo) come pure di uno spiritualismo astratto che contraddice la natura stessa dell’uomo, spirito incarnato e, quindi, in se stesso capace di azione e di comprensione simbolica”.

Ma il problema è prima di tutto ecclesiologico. Per il Papa, se si accetta il Concilio, non se ne può non accettare la liturgia, e per questo ha detto stop alle celebrazioni di rito antico, trattandole alla stregua di un biritualismo, di un doppio rito.

Per il Papa, è ora “necessario trovare i canali per una formazione come studio della liturgia: a partire dal movimento liturgico molto in tal senso è stato fatto, con contributi preziosi di molti studiosi ed istituzioni accademiche”. Ma si devono anche “diffondere queste conoscenze al di fuori dell’ambito accademico, in modo accessibile, perché ogni fedele cresca in una conoscenza del senso teologico della Liturgia – è la questione decisiva e fondante ogni conoscenza e ogni pratica liturgica – come pure dello sviluppo del celebrare cristiano, acquisendo la capacità di comprendere i testi eucologici, i dinamismi rituali e la loro valenza antropologica”.

Papa Francesco chiede che i seminari offrano anche “la possibilità di sperimentare una celebrazione non solo esemplare dal punto di vista rituale, ma autentica, vitale, che permetta di vivere quella vera comunione con Dio alla quale anche il sapere teologico deve tendere. Solo l’azione dello Spirito può perfezionare la nostra conoscenza del mistero di Dio, che non è questione di comprensione mentale ma di relazione che tocca la vita. Tale esperienza è fondamentale perché una volta divenuti ministri ordinati, possano accompagnare le comunità nello stesso percorso di conoscenza del mistero di Dio, che è mistero d’amore”.

Questo è importante, per Papa Francesco, perché “l’aver perso la capacità di comprendere il valore simbolico del corpo e di ogni creatura rende il linguaggio simbolico della Liturgia quasi inaccessibile all’uomo moderno. Non si tratta, tuttavia, di rinunciare a tale linguaggio: non è possibile rinunciarvi perché è ciò che la Santissima Trinità ha scelto per raggiungerci nella carne del Verbo. Si tratta, piuttosto, di recuperare la capacità di porre e di comprendere i simboli della Liturgia”.

Ma non c’è da disperarsi. La capacità di comprendere i simboli è “costitutiva dell’essere umano”, e per questo, “nonostante i mali del materialismo e dello spiritualismo – entrambi negazione dell’unità corpo e anima – è sempre pronta a riemergere, come ogni verità”.

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Papa Francesco sottolinea che è importante prima di tutto abitare il mistero, perché “non si impara l’arte del celebrare perché si frequenta un corso di public speaking o di tecniche di comunicazione persuasiva (non giudico le intenzioni, vedo gli effetti). Ogni strumento può essere utile ma deve sempre essere sottomesso alla natura della Liturgia e all’azione dello Spirito. Occorre una diligente dedizione alla celebrazione lasciando che sia la celebrazione stessa a trasmetterci la sua arte”.

Papa Francesco parla anche dell’importanza della presidenza della celebrazione. “Se è vero – scrive - che l’ars celebrandi riguarda tutta l’assemblea che celebra, è altrettanto vero che i ministri ordinati devono avere per essa una particolare cura. Nel visitare le comunità cristiane ho spesso notato che il loro modo di vivere la celebrazione è condizionato – nel bene e, purtroppo, anche nel male – da come il loro parroco presiede l’assemblea. Potremmo dire che vi sono diversi ‘modelli’ di presidenza”.

Papa Francesco fa l’elenco di quelli inadeguati: “rigidità austera o creatività esasperata; misticismo spiritualizzante o funzionalismo pratico; sbrigatività frettolosa o lentezza enfatizzata; sciatta trascuratezza o eccessiva ricercatezza; sovrabbondante affabilità o impassibilità ieratica”.

Spiega il Papa che “pur nell’ampiezza di questa gamma, penso che l’inadeguatezza di questi modelli abbia una comune radice: un esasperato personalismo dello stile celebrativo che, a volte, esprime una mal celata mania di protagonismo. Spesso ciò acquista maggior evidenza quando le nostre celebrazioni vengono trasmesse in rete, cosa non sempre opportuna e sulla quale dovremmo riflettere. Intendiamoci, non sono questi gli atteggiamenti più diffusi, ma non di rado le assemblee subiscono questi ‘maltrattamenti’.”

Chiosa Papa Francesco: “Perché questo servizio venga fatto bene – con arte, appunto – è di fondamentale importanza che il presbitero abbia anzitutto una viva coscienza di essere, per misericordia, una particolare presenza del Risorto”.