Il Papa sottolinea che sono “le resistenze interiori” che non ci permettono di “metterci in movimento”, mentre a volte, “come Chiesa, siamo sopraffatti dalla pigrizia e preferiamo restare seduti a contemplare le poche cose sicure che possediamo, invece di alzarci per gettare lo sguardo verso orizzonti nuovi, verso il mare aperto”, rimanendo come Piero “incatenati nella prigione dell’abitudine, spaventati dai cambiamenti e legati alla catena delle nostre consuetudini”.
Papa Francesco denuncia che questo atteggiamento fa piuttosto scivolare nella “mediocrità spirituale”, correndo il rischio di “tirare a campare”. E così, continua, “si affievolisce l’entusiasmo della missione e, invece di essere segno di vitalità e di creatività, si finisce per dare un’impressione di tiepidezza e di inerzia”.
Il Papa cita de Lubac che diceva che “la grande corrente di novità e di vita che è il Vangelo nelle nostre mani diventa una fede che ‘cade nel formalismo e nell’abitudine, […] religione di cerimonie e di devozioni, di ornamenti e di consolazioni volgari […]. Cristianesimo clericale, cristianesimo formalista, cristianesimo spento e indurito’”.
Per Papa Francesco, è proprio questo Sinodo che “ci chiama a diventare una Chiesa che si alza in piedi, non ripiegata su sé stessa, capace di spingere lo sguardo oltre, di uscire dalle proprie prigioni per andare incontro al mondo”.
Una Chiesa, insomma, “senza catene e senza muri, in cui ciascuno possa sentirsi accolto e accompagnato, in cui si coltivino l’arte dell’ascolto, del dialogo, della partecipazione, sotto l’unica autorità dello Spirito Santo”.
Una Chiesa “libera e umile, che si alza in fretta, che non temporeggia, non accumula ritardi sulle sfide dell’oggi, non si attarda nei recinti sacri, ma si lascia animare dalla passione per l’annuncio del Vangelo e dal desiderio di raggiungere tutti e accogliere tutti”.
Quindi, la buona battaglia di San Paolo, il quale “alla fine della vita, egli vede che nella storia è ancora in corso una grande ‘battaglia’, perché molti non sono disposti ad accogliere Gesù, preferendo andare dietro ai propri interessi e ad altri maestri”.
E così Paolo chiede a Timoteo e ai fratelli di continuare la sua opera, di compiere la missione affidatagli. È – dice Papa Francesco – “una Parola di vita anche per noi, che risveglia la consapevolezza di come, nella Chiesa, ciascuno sia chiamato ad essere discepolo missionario e a offrire il proprio contributo”.
Papa Francesco si chiede prima di tutto: “Cosa posso fare io per la Chiesa? Non lamentarsi della Chiesa, ma impegnarsi per la Chiesa. Partecipare con passione e umiltà: con passione, perché non dobbiamo restare spettatori passivi; con umiltà, perché impegnarsi nella comunità non deve mai significare occupare il centro della scena, sentirsi migliori e impedire ad altri di avvicinarsi”.
Chiede Papa Francesco: “Andate nei crocicchi delle strade e portate tutti. Nella Chiesa c’è posto per tutti. Tante volte diventiamo una Chiesa di porta aperta per congedare gente. Per la Chiesa questo non è il tempo dei congedi. È il tempo dell’accoglienza. Andate agli incroci. Tutti. Sono peccatori? Tutti!”
Questo significa, per il Papa, Chiesa sinodale, e cioè che “tutti partecipano, nessuno al posto degli altri o al di sopra degli altri”, ma questo significa anche “portare avanti la ‘buona battaglia’ di cui parla Paolo”.
Perché è una battaglia? Perché “l’annuncio del Vangelo non è neutrale, non è acqua distillata, non lascia le cose come stanno, non accetta il compromesso con le logiche del mondo ma, al contrario, accende il fuoco del Regno di Dio laddove invece regnano i meccanismi umani del potere, del male, della violenza, della corruzione, dell’ingiustizia, dell’emarginazione”.
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La seconda domanda è invece “cosa possiamo fare insieme, come Chiesa, per rendere il mondo in cui viviamo più umano, più giusto, più solidale, più aperto a Dio e alla fraternità tra gli uomini?”
Attenti - dice Papa Francesco - di stare attenti a "non prendere un attegiamento del clericalismo", e definisce peggio ancora "i laici clericali".
Il Papa invita a non chiudersi nei circoli ecclesiali, ma piuttosto “aiutarci ad essere lievito nella pasta del mondo”. perché insieme “possiamo e dobbiamo porre gesti di cura per la vita umana, per la tutela del creato, per la dignità del lavoro, per i problemi delle famiglie, per la condizione degli anziani e di quanti sono abbandonati, rifiutati e disprezzati”.
Papa Francesco invita ad essere “una Chiesa che promuove la cultura della cura, la compassione verso i deboli e la lotta contro ogni forma di degrado, anche quello delle nostre città e dei luoghi che frequentiamo, perché risplenda nella vita di ciascuno la gioia del Vangelo: questa è la nostra ‘buona battaglia’.”
Le tentazioni sono molte, c'è "la tentazione della nostalgia". Chiede Papa Francesco: "Per favore, non cadiamo nell'indietrismo. Un indietrismo che oggi è alla moda".