Yangoon , martedì, 21. giugno, 2022 18:00 (ACI Stampa).
Lo scorso 15 giugno, la giunta militare del Myanmar ha dato alle fiamme la chiesa cattolica di San Matteo, a Dawnyakhu, nello stato di Karenni. Un attacco arrivato appena quattro giorni dopo l’appello dei vescovi del Myanmar per il rispetto dei diritti umani, culmine di una difficile situazione che portato Papa Francesco a fare un appello all’Angelus del 19 giugno.
Sembrava che il Myanmar avesse raggiunto una certa stabilità. Quando Papa Francesco visitò il Paese, nel 2017, erano state appena stabilite le relazioni diplomatiche con la Santa Sede, e, nonostante i miliari tenessero il controllo (il Papa fece il gesto di andare a trovare il generale, su suggerimento del Cardinale Bo, arcivescovo di Yangon), si prevedeva un futuro di serenità.
L’1 febbraio 2021, tuttavia, la giunta militare ha ripreso saldamente il controllo, rimesso in carcere il ministro degli Esteri Aung San Suu Kyi e messo di nuovo il Paese sotto totale controllo. La Chiesa cattolica è diventato un bersaglio naturale, sia per il prestigio che hanno avuto i vescovi, sia perché la giunta vorrebbe favorire la religione buddhista, di certo più docile e più adeguata alle sensibilittà della giunta.
L’attacco alla chiesa di San Matteo si inserisce in questo scenario. È stato documentato dalla Karenni National Defense Force (KNDF), un gruppo ribelle locale che combatte la giunta militare.
Un funzionario del KNDF ha denunciato che “il 14 giugno, i militari hanno bruciato più di quattro case nel villaggio di Dawnyaykhu. Il 15 giugno, intorno alle 15, i militari hanno bruciato la chiesa cattolica nel villaggio senza una ragione apparente”.