Per Bagnasco, che ha ripreso alcune relazioni degli scorsi giorni, “la storia del nostro Paese – il ‘made in Italy’, il volontariato, le cento città, l’artigianato, l’arte, la cura, la carità, le tante forme di sussidiarietà ed economia civile, la famiglia –: sono espressioni già presenti nella realtà, preziosa eredità affidata alla nostra responsabilità”.
Perciò “la ricostruzione dell’umano, che la Chiesa avverte come suo compito primario e inscindibile dall’annuncio del Vangelo, passa da un’attenta conoscenza delle dinamiche e dei bisogni del nostro mondo, quindi dall’impegno a un’inclusione sociale che ha a cuore innanzitutto i poveri”.
“Spetta a noi – ha detto ancora Bagnasco - mostrare a tutti l’infinito tesoro racchiuso nella sua persona, e la luce che da Lui si irradia sulle nostre inquietudini, sulle problematiche e le varie situazioni di vita”. E in questo “lasciamoci guardare da Lui, “misericordiae vultus”, consapevoli che la condizione primaria di ogni riforma della Chiesa richiede di essere radicati in Cristo. Contempliamo, quindi, senza stancarci l’umanità di Gesù: in Lui siamo ridestati alla vita, riconosciamo un’esistenza unificata, raccolta attorno alla costante ricerca della volontà del Padre, e al tempo stesso tutta protesa verso il prossimo”.
Cita i recenti fatti di cronaca, con relativi scandali anche economici, il Cardinale, per ribadire che “l’impegno del cattolico nella sfera pubblica deve testimoniare coerenza e trasparenza”. Anche per questo aspetto, ammette Bagnasco, “sono rimasto colpito soprattutto dalle attese emerse dai giovani, dalla loro richiesta di riconoscimento, di spazi e di valorizzazione: sono condizioni perché la fiducia che diciamo di avere in loro non rimanga a livello di parole, troppe volte contraddette dalla nostra povera testimonianza”.
Il Presidente della Conferenza Episcopale italiana torna sulla questione del discernimento comunitario: “L’assunzione di uno stile sinodale – perché giunga ad avviare processi – richiede precisi atteggiamenti, che dicono anzitutto il nostro modo di porci di fronte al volto dell’altro – spiega -, e indicano nella prospettiva della relazione e dell’incontro la strada di una continua umanizzazione”.
Ma “uno stile sinodale esige anche un metodo, all’insegna della concretezza, del confrontarsi insieme sulle questioni che animano le nostre comunità. Vive di cura per l’ascolto, di pazienza per l’attesa, di apertura per l’accoglienza di posizioni diverse, di disponibilità a lavorare insieme”. E “infine, per dare concretezza al discernimento, uno stile sinodale deve sapersi dare obiettivi verso i quali tendere”.
“Con questo spirito – ha concluso il Cardinale - facciamo ritorno alle nostre Chiese e ai nostri territori, senza la paura di guardare in faccia la realtà – anche le ombre, anche le nostre -, ma con la lieta certezza di chi riconosce, anche nella complessità del nostro tempo, la presenza operosa dello Spirito Santo, la fedeltà di Dio al mondo”.
Le cinque vie
Nella mattinata c’è stato anche spazio anche alle sintesi del lavoro dei gruppi legati alle “cinque vie”: abitare, annunciare, educare, uscire, trasfigurare. La parola è stata presa dai moderatori dei gruppi, che in questi giorni hanno compiuto un cammino insieme, partendo dai cosiddetti duecento “tavoli” da dieci persone, per giungere ad una proposta unica “per via”, che rappresentasse circa 500 delegati.
Uscire
Per Adriano Fabris, “si abitano anzitutto relazioni. Non si tratta di qualcosa di statico, che indica uno “star dentro” fisso e definito, ma l’abitare implica una dinamica. È la stessa dinamica che attraversa le altre vie, e soprattutto la via dell’educare. Molti, anzi, hanno visto l’abitare e l’educare strettamente collegati fra loro”.
Fabris richiama alla Dottrina sociale della Chiesa e chiede di pensare alla famiglia come “un luogo di conoscenze e di azione per abitare il territorio”. Perché nella società di oggi “bisogna far emergere la dignità delle persone, bisogna metterle in grado di sentirsi utili, di sentirsi in grado di restituire qualcosa di ciò che hanno ricevuto. Una relazione buona, un’accoglienza vera, non sono semplice assistenzialismo”.
E poi, occorre “ripensare l’impegno a favore della propria comunità”. Quindi, “si tratta di ripensare la politica, e di farlo in una chiave che sia davvero comunitaria. Alcuni hanno detto: non bisogna semplicemente delegare, e poi disinteressarsi di ciò che viene deciso in nostro nome. Bisogna accompagnare i decisori, che sono i nostri rappresentanti; non bisogna lasciarli soli. Una nuova capacità di abitare le relazioni – un “nuovo umanesimo” – si collega e si esprime anche nella partecipazione e nell’impegno per una vera cittadina attiva”.
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Annunciare
Parlando dell’annunciare, ha spiegato Flavia Marcacci, occorre “annunciare la gioia, non la paura: la gioia non è allegrezza da esibire, né superficialità, né senso di superiorità, né sarcasmo, né cinismo, ma profondità, leggerezza e umiltà”.
Ma l’annuncio “si fa eloquente quando è fatto di gesti che hanno il gusto della carità animata dall’adesione a Cristo, dall’imitazione delle sue azioni, dal racconto dei suoi miracoli e dei suoi incontri con le persone”.
Occorre scrollarsi di dosso l’“autoreferenzialità, il “devozionismo”, il “clericalismo”, la “povertà formativa” e “passare da una attenzione esclusiva verso chi viene evangelizzato a una specifica attenzione a chi evangelizza”, da un’“attenzione alla formazione” e all’uso di “nuovi linguaggi: occorre che siano chiari e diretti, semplici e profondi, capaci di portare a tutti la Parola. È così profonda la sete di Parola che si chiede di condividerla e non riservarla ai soli specialisti, pur riconoscendo l’importanza del loro lavoro”. “Tra le virtù di una Chiesa fedele al suo Signore e capace della gioia del Vangelo vi è quella della leggerezza, da associare alla beatitudine di cui ci ha parlato papa Francesco”.
Educare
L’educare, ha relazionato Suor Pina del Core, nonostante la “fatica” “evidente”, “è sempre un compito ‘bello’ e appassionante. Le sfide e le difficoltà infatti non mancano, anzi sono molte, specie nel contesto di complessità, di frammentazione e di disorientamento in cui siamo immersi”. Occorre, si è detto, “ripensare e rivedere alcune prassi, come sollecitazione al cambiamento o meglio a quella ‘conversione pastorale’ a cui il Papa ci ha fortemente invitato”.
“Priorità ineludibile – ha spiegato a nome del gruppo - è la formazione degli adulti, o meglio degli educatori, perché prendano in mano la propria primaria responsabilità educativa nei confronti delle nuove generazioni, curando anche la propria formazione personale (autoformazione)”; ma poi c’è anche “l’attenzione alla famiglia e l’accompagnamento delle famiglie” che deve restare “una priorità nella progettazione pastorale delle comunità ecclesiali locali”.