Parlando della decisione di investire sul Palazzo di Londra, il Cardinale Becciu ha sottolineato di avere sempre seguito le indicazioni dell’ufficio. Come sostituto, Becciu ha detto di avere totale fiducia della sezione amministrativa, in particolare di monsignor Alberto Perlasca, che la guidava, notando che comunque il team era stato da lui ereditato e mai scelto.
Il Cardinale Becciu ha detto che non aveva avuto contezza dei rendimenti del palazzo, che lo stesso monsignor Perlasca gli diceva che per gli investimenti ci voleva tempo, e ha sottolineato che i suoi sottoposti avevano “l’obbligo morale di non mettere in difficoltà i superiori”.
Alle obiezioni del promotore di Giustizia del fatto che il Cardinale avesse continuato ad interessarsi anche dopo aver terminato il suo incarico da sostituto della Segreteria di Stato, Becciu ha fatto sapere che evidentemente gli erano state prospettate delle difficoltà, e che c’era un mutuo da estinguere, e che questo gli era stato mostrato da Perlasca.
Il promotore ha chiesto moltissimi nomi e riferimenti personali, con l’obiettivo al limite di comprendere se c’erano contraddizioni. Sono stati mostrati diversi documenti, e gli avvocati delle altre parti hanno anche obiettato di come il promotore di giustizia interpretasse i documenti. Anche il presidente del Tribunale, Pignatone, ha invitato a non interpretare i documenti.
Diddi ha messo in luce anche una segnalazione dell’Autorità di Informazione Finanziaria su un bonifico sospetto, e che poi lui stesso aveva passato tutto all’ufficio amministrativo, che aveva poi chiarito le posizioni
Il Cardinale Becciu ha anche affrontato il tema delle frizioni tra Segreteria di Stato e Segreteria per l’Economia, che portò poi al motu proprio I beni temporali che riportarono all’APSA alcune competenze prese dalla Segreteria per l’Economia, e sottolineato ancora una volta che la Segreteria di Stato era un dicastero, sì, ma sui generis, da cui originavano le norme, e che non subivano le norme.
Il cardinale Becciu ha chiarito che sul palazzo di Londra si sono usati solo i cespiti della Segreteria di Stato, e non quelli dell’Obolo, che si sarebbero anche potuti usare perché, come era già stato spiegato nell’udienza precedente, l’Obolo è per la Santa Sede.
Viene fuori, dall’interrogatorio, un clima teso soprattutto nel momento in cui la Segreteria per l’Economia era entrato a gamba tesa sulla Segreteria di Stato, che però era autonoma e soggetta solo al Papa e al Segretario di Stato.
Il cardinale Becciu ha detto aver avuto la massima fiducia in monsignor Perlasca, la stessa che aveva il Cardinale Parolin che infatti aveva accettato la proposta di passare al fondo Gutt di Perlasca. “Se c’erano criticità e Perlasca non me le ha dette, si è macchiato di una grave colpa”, ha detto il Cardinale Becciu.
Si è parlato anche di come è stata gestita l’uscita dal fondo di Mincione. Perlasca avrebbe voluto denunciare, ci sono chat in cui il monsignore si lamenta, poi si sente messo da parte, vuole dire la sua verità. Si chiede conto persino delle chiacchiere in cui Becciu, parlando con Marco Simeon, sembra quasi suggerire a Gianluigi Torzi di non presentarsi per l’interrogatorio. “Erano chiacchiere, a me sollecitate”, ha detto il Cardinale Becciu.
In una chat con il broker Enrico Crasso, consulente finanziario della Segreteria di Stato, questi si lamentava con il Cardinale che gli era stata rovinata la reputazione come indagato, e Becciu rispondeva che “al momento giusto si dovrebbe fare una campagna stampa per sbugiardare i nostri magistrati”, parole che Becciu ha giustificato sottolineando che erano parte di una conversazione fatta con un uomo che sembrava disperato.
Insomma, una situazione particolarmente tesa, che più che chiarire le vicende sembrava essere portata all’esasperazione per cercare di avere più dettagli o conferma dei sospetti.
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Il promotore di Giustizia ha affrontato anche le vicende della Caritas di Ozieri e della Spes, ha chiesto a Becciu perché avesse chiesto un prestito allo IOR e non avesse deciso di prestare direttamente il suo denaro dato che il suo conto era capiente, ha voluto informarsi sul perché del prestito se c’era già una richiesta dell’8 per mille CEI.
Al di là del fatto che i fondi CEI non sono parte del processo, va rilevato che la CEI eroga i finanziamenti solo a lavori avvenuti, dopo un primo acconto, e dunque l’aiuto del Cardinale era presumibilmente dovuto alla necessità di anticipare il denaro per i lavori – denaro che poi gli è stato restituito per metà, mentre ha lasciato in donazione l’altra metà.
Il Cardinale ha preferito non rispondere oltre sulle questioni riguardanti la liberazione di suor Gloria Narvaez, la suora colombiana rapita in Sud Sudan, ma ha ribadito di aver avuto fiducia in Cecilia Marogna, che questa le si era presentata personalmente, e che questa aveva fatto anche una buona impressione all’allora capo della Gendarmeria Domenico Giani.
Il Cardinale ha detto di averla incontrata anche una volta, dopo che era stata liberata dal carcere, e di averla ricevuta una volta prima che fosse rinviata a giudizio, sottolineando “la avete anche ripresa con la telecamera. Avete la data”.
Il clima teso non ha certo aiutato ad una piena comprensione delle vicende, e la strategia dell’accusa sembra quella di voler arrivare quasi a fare ammettere gli imputai delle loro contraddizioni, cercando di coglierli in fallo con una serie di domande parziali di cui si può intuire la strategia, come ha spiegato il promotore di giustizia, ma che non hanno mancato di suscitare obiezioni.
Si riprende il 19 maggio con l’interrogatorio di Becciu, e poi con l’ex officiale di Segreteria di Statto Fabrizio Tirabassi.