Padova , venerdì, 6. maggio, 2022 18:00 (ACI Stampa).
Per tutta la sua vita, finita così presto, aveva cantato il grano che quando matura si trasforma in un mare d’oro ondeggiante, aveva cantato l’odore della buona terra arata di fresco e del pane appena sfornato, dei frutti maturi che pendono dai rami degli alberi, del dolore che feconda l’esistenza.
Poi, una dolce notte d’aprile, bussano alla sua porta e soldati turchi lo portano via, mentre la moglie singhiozzante si tocca il ventre arrotondato dalla gravidanze e i suoi due figli dormono ignari. Nella sua lenta agonia trascinata tra carcere, marce forzate, fame e botte, riesce persino a scrivere, in un quaderno sgualcito, gli ultimi versi, attraverso il velo fitto della sofferenza, anzi dell’incubo che lui, insieme a migliaia e migliaia dovranno attraversare. La sua colpa? Essere armeno. Una “colpa” che milioni di persone hanno pagato con la vita.Almeno un milione e mezzo di morti, il bilancio del genocidio perpetrato dall’impero ottomano tra il 1915 e il 1916, oggi commemorato nella giornata del 24 aprile. Gli armeni usano l'espressione Medz Yeghern (in lingua armena "grande crimine").
Daniel Varujan, l’insegnate, il poeta, l’uomo che aveva sempre creduto nella bellezza e nella sacralità della vita, il 26 agosto del 1915 conclude l’esistenza legato ad un albero, spezzato dalle torture, depredato di tutto, con gli occhi che si spengono lentamente. Nella sua tasca c’è ancora il quaderno sgualcito con le sue poesie. E per quel quaderno comincia un’altra odissea. Nel 1921 un agente segreto ingaggiato dalla famiglia del poeta recupera il quaderno da un cumulo di oggetti sequestrati ai prigionieri armeni. Il tesoro ritrovato sarà proprio “Il Canto del Pane”, capolavoro incompiuto di Varujan.
Il ritrovamento quasi miracoloso del manoscritto permette di diffondere l’opera di questo poeta autentico scomparso a soli 31 anni. Alla sua conoscenza e allo studio ha contribuito decisamente Antonia Arslan, nota scrittrice e a lungo docente universitaria. Molti dei suoi studenti sono stati “indotti” a farsi affascinare dal mondo poetico di Varujan e di altri autori armeni grazie alle sue capacità affabulatorie, al suo modo appassionante di raccontare autori, artisti, opere, vite, tragedie. Infaticabile nel promuovere la conoscenza e la difesa della cultura armena, è legata proprio a lei la nuova iniziativa legata alla figura di Varujan, ossia la mostra “Mistero armeno. Daniel Varujan in poesia e immagini”, in corso in questi giorni a Padova, presso il salone della Gran Guardia.
La mostra nasce dall’incontro dell’illustratrice Silvia Paggiarin - diplomata in Arte Applicata e Arte del Tessuto, laureata in Filosofia all’Università di Padova, si è formata come illustratrice presso la Scuola Internazionale di Illustrazione di Sarmede - con il poeta armeno; attraverso le illustrazioni, Silvia Paggiarin dialoga con i versi potenti ed evocativi di Varujan, tessendo una trama preziosa di suggestioni tra Oriente e Occidente, racconti silenziosi e delicati trasformati in immagini evocative: un gatto che appare come una specie di divinità arcana; un volto di donna anziana che diventa un’icona del dolore e dell’eternità; un tenue paesaggio lagunare (Venezia accoglierà i monaci mecharisti in fuga nell’isola di San Lazzaro, ma anche la grande comunità armena di antica tradizione) e l’immagine che pare emergere dalle acque di una preziosa Madonna con il Bambino. Questo appuntamento padovano rappresenta una possibilità concreta per incontrare la poesia di Varujan e amarla.
Una poesia che spesso assume il tono della preghiera, dell’invocazione, della canzone antica, in cui i ritmi della vita contadina della fine dell’Ottocento, di quell’Armenia che diventerà solo un ricordo, dopo l’eccidio e la diaspora del popolo armeno, si intrecciano con la lotta per mantenere la propria identità, insieme alla contemplazione del mistero di un Dio che si è incarnato ed è venuto sulla terra a condividere i dolori e le gioie dell’uomo. E Daniel del dolore ha una lunga esperienza: il padre scomparso in una prigione turca, i lunghi anni trascorsi “in esilio” per studiare, crisi profonde, fino all’amore per la sua patria, il ritorno e l’impegno per difendere quella cultura antica e plasmata dalla fede, con i suoi versi pieni di immagini e di colori, la forza della preghiera, l’amore, la famiglia, la bellezza dei campi di grano e di papaveri, l’orrore dei massacri che lo travolgerannno….