Leopoli , giovedì, 21. aprile, 2022 14:00 (ACI Stampa).
Levin, 40 anni, che aveva lavorato per diverse testate internazionali tra cui Ap, Bbc e Reuters, era scomparso dal 13 marzo scorso dalla prima linea vicino a Kiev, nel distretto di Vyshhorod dove stava riprendendo i combattimenti. Il suo ultimo post su facebook dal fronte era datato 12 marzo. Lascia 4 figli minorenni. E' il settimo giornalista ucciso nella guerra in Ucraina, mentre sono 35 quelli feriti.
A tenere il conto degli attacchi contro la stampa è anche ‘Reporter Sans Frontieres’, che ha aperto a Leopoli il Centro per la libertà di stampa ed ha avviato la distribuzione di elmetti e giubbotti antiproiettile; mentre il segretario della Federazione europea dei giornalisti (Efj), Ricardo Gutierrez, ha denunciato la grave situazione per i giornalisti: “La situazione per i giornalisti in Ucraina si fa ogni giorno più drammatica, siamo molto preoccupati. Riteniamo che ormai i giornalisti vengano deliberatamente presi di mira allo scopo di creare terrore e di impedire che emerga la verità”, sottolineando che “non si tratta di errori. Sono crimini di guerra quelli perpetrati nei confronti dei giornalisti e di tutti i civili. Per questo chiediamo l’istituzione di un Tribunale speciale per i crimini commessi in Ucraina”.
Al confine tra Polonia ed Ucraina è ‘in azione’ il fotoreporter calabrese, ma palermitano d’adozione, Francesco Malavolta, che documenta con la fotografia cosa sta succedendo in Ucraina, dopo aver documentato quel che accade lungo le frontiere europee nel mar Mediterraneo. Sua la fotografia alla stazione ferroviaria polacca di Przemysl, dove ‘alcune madri polacche lasciano i passeggini per le madri ucraine che arrivano con i neonati’, che è un segno di solidarietà ed un’immagine che dà speranza.
Raggiunto telefonicamente ci spiega cosa significa essere un fotografo di guerra: “In realtà giornalisticamente non ho mai ‘coperto’ i conflitti, ma ho fotografato le persone che fuggono dai conflitti o per altre ragioni. Però ti posso dire cosa significa essere un fotografo che documenta i sentimenti delle persone costrette a lasciare la propria casa, perché è vero che la maggior parte è costretta ad abbandonare la propria terra a causa della violenza della guerra come in Ucraina, non dobbiamo dimenticare che in questi anni del nuovo millennio ci sono state tante guerre che hanno causato un numero altissimo di morti e di sfollati: Yemen con 350.000 morti e 4.000.000 di sfollati; o la Siria con altri 350.000 morti e 12.000.000 di sfollati, interni ed all’estero, secondo stime al ribasso. Poi ci sono gli sfollati nell’Africa, come in Nigeria, che in questi 12 anni il numero delle vittime ha raggiunto 40.000 morti e 2.000.000 di sfollati; oppure in Etiopia, di cui non è dato di conoscere il numero preciso. Mentre in Afghanistan la popolazione è duramente colpita da quaranta anni. Parlo di questi Paesi, perché ho documentato la tragedia dei profughi. Questo fa capire che c’è necessità di documentare e di dar voce a quelle persone che fuggono dalle loro case e cercare di sensibilizzare. Quindi a tale domanda rispondo che essere fotografo di guerra significa fare un uso appropriato di un mezzo (in questo caso la macchina fotografica) per raccontare le sofferenze e cercare di smuovere le coscienze attraverso l’empatia dello scatto per essere accogliente con il prossimo”.