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Il Papa alla Chiesa in Italia: desidero una Chiesa inquieta, lieta, col volto di mamma

Il Papa nel Duomo di Firenze |  | CTV
Il Papa nel Duomo di Firenze | CTV
Il Papa nel Duomo di Firenze |  | Marco Mancini
Il Papa nel Duomo di Firenze | Marco Mancini
Il Papa esce dal battistero e si reca in duomo a Firenze  |  | CEI
Il Papa esce dal battistero e si reca in duomo a Firenze | CEI
Il Papa esce dal duomo di Firenze |  | CEI
Il Papa esce dal duomo di Firenze | CEI

Un lungo discorso articolato su tre linee principali come piace fare a Papa Francesco da “vecchio gesuita” come dice spesso. Umiltà, disinteresse e beatitudine per dare alla Chiesa cattolica in Italia una indicazione di lavoro per il prossimo decennio.

Nel Duomo di Firenze, dopo aver visitato il battistero, il Papa prende lo spunto per la riflessione dal Giudizio Universale della cupola.

C’è la Evangelii gaudium in trasparenza nel testo che ripropone i pericoli dai quali il Papa mette sempre in allerta i vescovi: pelagianesmo e gnosticismo. Il rischio di sentirsi superiori o di un eccessivo razionalismo.

Ma, dice il Papa, la nostra è una fede che si basa sulla incarnazione, sul volto di Cristo, su Gesù che si è “svuotato” per noi. Ecco perché il volto dei fratelli umiliati e resi schiavi è invece proprio il volto di Cristo.

Umiltà quindi perché “l’ossessione di preservare la propria gloria, la propria “dignità”, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti. Dobbiamo perseguire la gloria di Dio, e questa non coincide con la nostra. La gloria di Dio che sfolgora nell’umiltà della grotta di Betlemme o nel disonore della croce di Cristo ci sorprende sempre.”

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Disinteresse perchè “Il nostro dovere è lavorare per rendere questo mondo un posto migliore e lottare. La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito Santo. Dobbiamo seguire questo impulso per uscire da noi stessi, per essere uomini secondo il Vangelo di Gesù.”

E beatitudine, quella che si trova nella vita dei semplici, la beatitudine “di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si possiede; la ricchezza del sacrificio quotidiano di un lavoro, a volte duro e mal pagato, ma svolto per amore verso le persone care; e anche quella delle proprie miserie, che tuttavia, vissute con fiducia nella provvidenza e nella misericordia di Dio Padre, alimentano una grandezza umile.”

E il Papa ripete: “non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso.”

Ecco allora le due tentazioni che tanto spaventano il Papa "ma non sarà un elenco come quelle quindici che ho detto alla Curia" dice sorridendo e strappando un applauso. La tentazione pelagiana che “spinge la Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo fa con l’apparenza di un bene.” Ma “la dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: si chiama Gesù Cristo.”

E la Chiesa  è semper reformanda ed è per questo aliena dal pelagianesimo.. C’è poi lo gnosticismo che  “porta a confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello.” Ma “la differenza fra la trascendenza cristiana e qualunque forma di spiritualismo gnostico sta nel mistero dell’incarnazione. Non mettere in pratica, non condurre la Parola alla realtà, significa costruire sulla sabbia, rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi che non danno frutto, che rendono sterile il suo dinamismo.”

Il Papa indica come guide i grand santi  da Francesco d’Assisi a Filippo Neri. E poi cita inaspettatamente due personaggi della letteratura: don Camillo e Peppone: “Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente.”

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Il Papa non da indicazioni sue, indica alla Chiesa cattolica in Italia le parole di Gesù, indica ai pastori di essere sostenuti dal gregge: “Di recente ho letto di un vescovo che raccontava che era in metrò all’ora di punta e c’era talmente tanta gente che non sapeva più dove mettere la mano per reggersi. Spinto a destra e a sinistra, si appoggiava alle persone per non cadere. E così ha pensato che, oltre la preghiera, quello che fa stare in piedi un vescovo, è la sua gente.”

Il Papa chiede “l’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nel vostro Paese, cercando il bene comune.” E poi una preghiera: “Che Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro. La povertà evangelica è creativa, accoglie, sostiene ed è ricca di speranza.”

Il Papa usa immagine particolare per parlare di carità: “dobbiamo immaginare che i nostri poveri abbiano una medaglia spezzata. Noi abbiamo l’altra metà. La Chiesa madre ha l’altra metà della medaglia di tutti e riconosce tutti i suoi figli abbandonati, oppressi, affaticati. Il Signore ha versato il suo sangue non per alcuni, né per pochi né per molti, ma per tutti.”

Parla del dialogo che si fa con i fatti più che con le parole e, dice Francesco “dobbiamo sempre ricordare che non esiste umanesimo autentico che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale. Su questo si fonda la necessità del dialogo e dell’incontro per costruire insieme con gli altri la società civile.”

La migliore “risposta all’ “homo homini lupus” di Thomas Hobbes è l’«Ecce homo» di Gesù che non recrimina, ma accoglie e, pagando di persona, salva.”

E c’è l’impegno politico, sociale. “i credenti sono cittadini. E lo dico qui a Firenze, dove arte, fede e cittadinanza si sono sempre composte in un equilibrio dinamico tra denuncia e proposta. La nazione non è un museo, ma è un’opera collettiva in permanente costruzione in cui sono da mettere in comune proprio le cose che differenziano, incluse le appartenenze politiche o religiose.”

Ai giovani il Papa chiede come sempre di non “guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico.” E poi conclude: “Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà. L’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita molto dura.”
E invita tutti a leggere la Evangeli gaudium e “Credete al genio del cristianesimo italiano, che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di questo straordinario Paese.”

Prima del discorso del Papa il saluto del cardinale Bagnasco che ha ricordato il senso dei Convegni ecclesiali, il mezzo con il quale la Chiesa in Italia ha reso concreto l’insegnamento del Concilio vaticano II. Poi le testimonianze. Una giovane donna battezzata da adulta che ha affrontato il dolore  della malattia in famiglia, una coppia che nel secondo matrimonio, dopo la dichiarazione di nullità dei precedenti, ha ritrovato il senso della vita e della fede ed ora aiuti gli altri, un albanese arrivato in Italia come clandestino e che tramite un prete di Firenze ha iniziato a seguire il catechismo ed ora è un sacerdote.