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Cardinale Parolin, “La religione è fondamentale per promuovere la pace”

Nella terza parte di questa intervista con ACI Stampa, il Cardinale Pietro Parolin si sofferma sul ruolo delle organizzazioni religiose nella promozione della pace

Cardinale Pietro Parolin | Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano | Archivio ACI Group Cardinale Pietro Parolin | Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano | Archivio ACI Group

Le religioni danno un apporto fondamentale sul tema della promozione della pace. Tanto che, se si dovesse fare un documento ecumenico sulla falsariga di quello della Fraternità Umana, uno dei temi dovrebbe essere proprio quello della pace. Lo spiega ad ACI Stampa il Cardinale Pietro Parolin.

Nella quarta parte di questa intervista, il Segretario di Stato vaticano si sofferma sul ruolo delle religioni nella promozione della pace e della riconciliazione, mette in luce le possibilità della diplomazia ecumenica, ricorda che la collaborazione tra le religioni non ha la necessità di arrivare ad un documento, ma serve prima di tutto un percorso condiviso.

 

Quanto è importante in questo il ruolo delle organizzazioni religiose, della cosiddetta track two diplomacy? Perché lei parla giustamente di una comprensione che si può ottenere solo a partire da un lavoro culturale. Cosa può fare la Chiesa allora, al di là del lavoro diplomatico alto, dell’aiuto nel negoziare gli accordi di pace?

Prima di tutto, è importante che gli accordi di pace siano conclusi sulla base della giustizia. Sappiamo che gli accordi di pace imposti sono l’origine di nuove idee, nuove guerre, nuovi conflitti. È importante sottolineare che il legittimo interesse di tutte le parti in gioco siano prese in considerazione, senza che nessuno si senta sopraffatto dall’altro.

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Per quanto riguarda il lavoro culturale, io credo che la Chiesa debba continuare attraverso quelli che sono sempre stati i suoi mezzi, come la predicazione e la formazione, a insistere sui concetti che ci stanno a cuore e ad inserire un tema cruciale, che è quello del perdono.

Vediamo una Europa ancora non riconciliata dalle ferite del passato – e la guerra in Ucraina è, in fondo, uno strascico di ciò -, così come molte situazioni nel mondo in cui la storia è una ferita aperta, e c’è bisogno di riconciliazione…

Il tema del perdono è fondamentale per poter sanare le ferite. È vero che il perdono è un cammino lento. Bisogna essere molto rispettosi di questo cammino, non pretendere che si compiano dall’oggi al domani. È un percorso, però, che la Chiesa propone e aiuta a fare attraverso la preghiera, i sacramenti e tutti i mezzi soprannaturali che le sono stati affidati dal Signore. Oggi abbiamo anche il grande contributo della Dottrina Sociale della Chiesa. Una possibilità iniziale sarebbe proprio diffondere ancora di più la Dottrina Sociale della Chiesa, a vari livelli, fino a penetrare completamente la società. E questo è sicuramene un contributo che la Chiesa dà alla pace e alla guarigione delle ferite.

Mi viene in mente che il Patriarcato di Mosca tradusse e pubblicò il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, e che forse questa dottrina sociale può essere alla base del dialogo ecumenico. In questi anni, abbiamo visto che c’è stata forte attenzione da parte del Papa per i Paesi a maggioranza ortodossa, destinazione di quasi tutti i viaggi in Europa del Papa. Può questo dialogo ecumenico, in particolare oggi, in Europa, aiutare la diplomazia?

Io credo di sì, perché la religione è parte fondamentale della vita di un popolo e della vita di una società. È fondamentale per promuovere la pace che gli appartenenti a differenti confessioni cristiane, o a differenti gruppi religiosi abbiano buone relazioni.

Per questo, l'ecumenismo, come pure anche il dialogo interreligioso, sono strumenti quanto mai attuali e quanto mai efficaci. Direi che il lavoro sulle grandi questioni del mondo è il terreno su cui lavorare, dal momento che dal punto di vista teologico ci sono delle difficoltà che sembrano insormontabili, e che hanno raffreddato anche il movimento ecumenico.

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Quali sarebbero i temi su cui concentrarsi?

Sicuramente, il tema della pace e della riconciliazione vale la pena di una collaborazione più stretta e più efficace. Io lo vedo come una grande risorsa, e questo nonostante a volte altri tipi di considerazione, come quelle di natura etnica, possono mettere in crisi questo tipo di rapporto.

Il movimento ecumenico non ha un documento come il documento sulla Fraternità Umana, che ora è diventato una chiave per i rapporti con il mondo musulmano – firmato con il Grande Imam di al Azhar, è stato anche parte del colloquio di Papa Francesco con il Grande Ayatollah al Sistani in Iraq. È auspicabile, dunque, un documento ecumenico simile a quello sulla Fraternità Umana?

Per farlo, bisognerebbe coinvolgere tutte le Chiese cristiane. Ma se non c’è un documento comprensivo, in realtà ci sono tanti contributi ecumenici in quel senso. I documenti sono molti, è importante tradurli in realtà. Io vedo prima di tutto molta cooperazione, e quindi ci sono tutti gli elementi per lavorare insieme per l’obiettivo comune della fraternità, e non c’è bisogno di arrivare ad un documento.

(4 – continua)