Tutto va ricercato nella devozione della gente di Bari, e non solo, a San Nicola, vescovo di Myra, nella moderna Turchia, che però tutti conoscono come barese. E del resto la presenza a Bari delle reliquie del Santo nascono proprio da un furto!
Dal 1071 Bari era sotto il dominio normanno ma legata a Costantinopoli.
I traffici marittimi quindi volgevano ad Oriente. Nel 1087 che un gruppo di una sessantina tra marinai e commercianti baresi parte con tre navi alla volta di Antiochia. Si trattava di una rotta abbastanza frequentata, essendo Antiochia una delle mete principali per i commercianti baresi, che vendevano cereali e compravano stoffe.
Ad Antiochia i baresi vengono a sapere che i veneziani, anche loro coinvolti nei commerci della città, avevano in mente di impadronirsi delle reliquie di S. Nicola custodite a Myra città sulla costa più a nord di Antiochia in quella che allora era l’ Asia Minore.
I Baresi affrettarono le operazioni e sulla via del ritorno attraccarono le navi nel porto di Myra. Fu una vera operazione da commando. Eccome come racconta la vicenda P. Gerardo Cioffari, o.p. “Due pellegrini che si erano aggregati ad Antiochia perlustrarono la zona e 47 marinai si inoltrarono per tre chilometri fino alla chiesa ove riposavano le reliquie del Santo. Bloccarono i quattro monaci, ruppero la lastra del sarcofago ed estrassero le ossa del Santo. Tornati alle navi, si apprestavano a salpare proprio mentre i miresi stavano accorrendo al porto disperandosi per la perdita delle reliquie. Nel frattempo, infatti, i monaci erano accorsi in città che si trovava alla distanza di circa un chilometro oltre la chiesa, e poco a poco una folla si era riversata verso il mare. I tre navigli baresi riuscirono per a prendere il largo.
Dopo una certa difficoltà nella navigazione, che costrinse le navi a fermarsi più volte (Kekowa, Megiste, Patara, Perdicca, Makri o Marciano, Ceresano, tutte vicino alla costa dell’attuale Turchia), finalmente entrarono nell’Egeo (Milo, Stafnu o Bonapolla) per poi costeggiare il Peloponneso (Gerakas, Monemvasia, Methoni, Suchea) e completare la traversata fino a S. Giorgio e Bari. Qui, all’accoglienza festosa seguì un momento di imbarazzo, in quanto i marinai volevano una chiesa dedicata esclusivamente al santo patrono, mentre l’arcivescovo voleva conservare le reliquie in Cattedrale. Ad un primo scontro armato seguì la mediazione dell’abate Elia, che nel frattempo aveva preso in consegna le reliquie nel suo monastero di S. Benedetto. Finalmente, il popolo e l’arcivescovo si accordarono ad affidare a lui l’opera di ristrutturazione del palazzo del Catepano e, con la demolizione di alcuni edifici sacri e profani, innalzare la magnifica Basilica”.
I pellegrini che passavano per Bari per andare in Terra Santa trovarono un altro motivo per un sosta di preghiera e presto Bari e San Nicola divennero meta principale per i fedeli di ogni parte del mondo.
Delle placchette che attestano il pellegrinaggio avvenuto sono state ritrovate addirittura in tombe in Svezia e Danimarca.
Nel 2017 un archeologo turco sostenne che le ossa del Santo erano ancora nel luogo originale di sepoltura. Ma si sarebbero dovuti fare scavi mai fatti.
La storia dei pellegrinaggi, anche in competizione con Benevento, si intreccia con la storia artistica della basilica e del suo tesoro in parte conservato nel Museo Nicolaiano, e anche per gli oggetti d’arte contemporanea come il candelabro per il cero pasquale con le stesse immagini della pergamena con il testo dell’Exultet conservata nell’archivio diocesano.
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