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A Rondine le testimonianze degli studenti che vogliono la pace per l'Ucraina

A colloquio con Franco Vaccari, presidente di ‘Rondine – Cittadella della Pace’

La cittadella della Pace  |  | Rondine.org
La cittadella della Pace | Rondine.org
Franco Vaccari  |  | Rondine.org
Franco Vaccari | Rondine.org

“ La guerra per noi europei è percepita come qualcosa che sta da altre parti del mondo, ma mai in Europa. Noi europei ci pensiamo come quelli che hanno messo la guerra nei musei (...)la guerra è una realtà, disumana e inaccettabile, ma una realtà anche se da noi percepita lontana. Oggi non possiamo permetterci di pensare che non ci riguardi”.

Così inizia il messaggio di Franco Vaccari, presidente e fondatore di ‘Rondine – Cittadella della Pace’, sorta nell’omonimo piccolo borgo in provincia di Arezzo nel 1997, con lo scopo di promuovere una cultura di pace e di dialogo, in particolare lavorando con persone provenienti da paesi che vivono o hanno appena vissuto guerre e conflitti.

L’Associazione nasce intorno ad un’idea forte e originale: far convivere, in un luogo e in un contesto neutrali, ragazzi provenienti da paesi in conflitto e che nelle loro terre sarebbero potenziali nemici. In questo borgo toscano è sorto anche uno Studentato Internazionale, che accoglie giovani provenienti dal Caucaso, dai Balcani, dalla Federazione Russa, dal Medio Oriente e dalla Sierra Leone. Gli studenti, una volta terminato il loro percorso di studi, tornano nel loro paese di origine e farsi così portatori di un messaggio di dialogo. 

Nel 2020 l’associazione ha conseguito il Premio Nazionale Nonviolenza “per essere riuscita a realizzare e mettere in pratica una metodologia efficace e concreta per il superamento del conflitto attraverso la conoscenza dell’Altro, il confronto e la reciproca consapevolezza della diversa visione della realtà. Vivere il conflitto come elemento costitutivo attraverso metodi di superamento delle opposte visioni per creare uno stato di pace dove, pur permanendo la diversità, si crea un’armonia conviviale e resistente”.

In questo particolare momento gli chiediamo di raccontarci la reazione degli studenti all’invasione russa dell’Ucraina: “A Rondine, come sempre in questi casi, cala un silenzio misto di disorientamento e frustrazione, perché sembra che ogni sforzo personale e collettivo sia vanificato. La guerra non è mai una risposta ad un conflitto, è un male assoluto. Eppure si ripete. Come sempre abbiamo cercato risposte insieme ai giovani dello studentato internazionale per non restare paralizzati dal dolore, non cedere alla rabbia, non ripiegare nell’indifferenza o nel cinismo. Parole e gesti; a volte piccoli o piccolissimi ma sempre tessuti sulla trama della cura delle relazioni che strappano terreno alla logica della costruzione del nemico.  A partire dalle testimonianze di giovani che sono cresciuti nella logica della guerra e che si rifiutano di alimentare la sua tragedia umana”.

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Nel messaggio lei ha affermato: “Scegliendo Rondine abbiamo deciso di camminare per una strada nuova che esce dalla logica del nemico e ricuce le relazioni a partire dalla condivisione del dolore. Schemi vecchi si ripetono tragicamente davanti ai nostri occhi, logori e mortiferi, e la guerra torna”. Allora come è possibile ricucire le relazioni partendo dalla condivisione del dolore?

“Rondine, nei 25 anni della sua storia, ci ha insegnato che tutti siamo ‘portatori sani’ di nemico. Un’idea distorta che porta alla disumanizzazione dell’altro e che si genera nell’indifferenza collettiva, anche prima che arrivino le armi. Ogni guerra diventa possibile proprio perché lentamente si è costruito il nemico. Con Rondine abbiamo deciso di camminare per una strada nuova che esce da questa logica e cerca di favorire quelle ‘amicizie impossibili’ dei giovani che vengono dalle parti opposte del conflitto degenerato. Se io riconosco che il mio dolore è tuo dolore, posso fargli spazio dentro di me e prendermene cura. Così i giovani di Rondine giorno dopo giorno si scoprono persone al di là della bandiera che rappresentano, non più ‘nemici’  e si ritrovano nella loro umanità. Allora le voci come quella della nostra ex studentessa russa Arina diventano fari di speranza: ‘Ero orgogliosa di essere russa ma adesso invece provo vergogna, il mio Paese sta attaccando suo fratello. Il mio pensiero va ai cittadini ucraini che stanno vivendo momenti indescrivibili’. Ecco nel suo cuore c’è il popolo che la storia sta trasformando nel nemico e che fino a ieri era fratello. Questo è il patrimonio di relazioni che siamo chiamati a proteggere”.

Nel messaggio ha parlato anche di una ‘cittadinanza proattiva’: “Siamo legati da una responsabilità comune, siamo uniti dalla necessità e dalla volontà di difendere un patrimonio unico al mondo di ‘amicizie impossibili’, quelle dei giovani che vengono dalle parti opposte del conflitto degenerato”. 

In quale modo è possibile costruire una cittadinanza proattiva?

“Serve un’educazione a un nuovo modo di stare nella crescita civile, un’educazione alla cittadinanza che ci abitui alla vigilanza delle coscienze, che ci chiami a non essere indifferenti di fronte alle tragedie anche quando pensiamo che non ci riguardano. Una cittadinanza proattiva che chiami dal basso costantemente le istituzioni alle loro responsabilità, senza smettere di costruire pazientemente legami di cura, di impegno per una comune causa: la pace come processo di differenze che si incontrano e si rispettano. Crediamo che queste amicizie possono essere la culla di una nuova leadership di pace”.

Durante l’incontro (‘Mediterraneo, frontiera di pace’) svoltosi a Firenze, proprio nei giorni di invasione dell’Ucraina, si è elevato un grido di pace: quale è l’impegno dell’associazione in favore della pace?

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“Offrendo a giovani provenienti da luoghi di conflitto di formarsi a una mentalità nuova che accolga le sfide globali e che sappia tradurle nel contesto locale. La formazione ad una nuova leadership di pace che metta la responsabilità e la cura dell’umano davanti a tutto. Questo quello che abbiamo fatto anche con gli 11 giovani selezionati da tutto il Mediterraneo grazie all’Opera Segno avviata due anni fa dopo il primo incontro dei Vescovi del Mediterraneo a Bari. Progetto che la CEI ha affidato a Rondine in collaborazione con Caritas perché questi giovani, dopo un anno di formazione a Rondine, potessero tornare nei loro Paesi e iniziare a realizzare progetti concreti di riconciliazione. E come hanno testimoniato le due giovani, bosniaca e algerina, proprio in quelle giornate, questi progetti stanno già generando impatto sui territori e favorendo la crescita di un network di giovani e di soggetti locali che collaborano per lo sviluppo e il dialogo nel tessuto profondo delle tante, ancora troppe, società divise”.