Le priore di tre monasteri carmelitani, a nome di tutti gli altri, inviarono un “indirizzo” all’Assemblea Generale, sottolineando che “alla base dei nostri voti c’è la libertà più grande; nelle nostre case regna la più perfetta uguaglianza; noi qui non conosciamo né ricchi, né nobili. Nel mondo si ama dire che i monasteri rinchiudono vittime consumate lentamente dai rimorsi; ma noi confessiamo davanti a Dio che, se c'è sulla terra la felicità, noi siamo felici”.
Nel monastero di Compiegne c’erano 16 religiose professe e una novizia che non poté prendere i voti proprio da quel decreto. Gli ufficiali municipali violarono la clausura, le guardie si schierarono alle porte di ogni cella perché non potessero comunicare, e vennero convocate singolarmente.
Tutte ribadirono la loro scelta, tute dissero di voler vivere e morire lì. La novizia non venne interrogata, perché non aveva i voti, ma lei non volle andare via.
Un trauma, per i teorici della Rivoluzione. Tanto che si cominciò anche a pensare di ridisegnare la struttura stessa della Chiesa, dare una “Costituzione civile” al clero, obbligare i preti a “prestare un giuramento di fedeltà alla nazione”, e chi non accettava poteva essere deportato o persino condannato a morte come refrattario.
Nella Pasqua 1792, a Priora di Compiègne – lasciando ogni monaca libera di decidere – propose a chi lo voleva di offrirsi con lei “in olocausto, per placare la collera di Dio, e in modo che questa divina pace che il suo caro Figlio è venuto a portare nel mondo, sia restituita alla Chiesa e allo Stato”. Alcune inizialmente titubarono, ma poi accettarono, rinnovando l’atto di offerta, ogni giorno, durante la Messa.
Il 12 settembre 1792 dovettero abbandonare il monastero, che venne requisito, e andarono a vivere in delle stanze nello stesso quartiere, in quattro case vicine, riunendosi periodicamente. Dopo l’epoca del Terrore, venne la guerra, e quindi la “Legge dei Sospetti”, per cui in giudizio non occorrevano più né prove né difensori.
Le suore Carmelitane, che continuavano a vivere come fossero in monastero, vennero dunque accusate di fanatismo, le loro abitazioni perquisite, i loro oggetti sacri profanati e infranti. Furono prima radunate in un vecchio convento diventato prigione, e poi portate a Parigi.
L’accusa era di “arrestare il progresso dello spirito pubblico ricevendo nelle loro case persone le quali venivano poi ammesse ad una aggregazione detta dello Scapolare...”. Il Tribunale teneva sedute a ritmi serrati. Le suore arrivarono il 13 luglio, e in quel giorno il tribunale comminò 40 condanne a morte; il 14 luglio si commemorava l’assalto alla Bastiglia, e le sedute furono sospese; il 15 furono comminate 30 condanne a morte, il 16 36 condanne a morte.
Nel processo, le monache furono accusate anche di “aver preteso esporre il Santo Sacramento sotto un baldacchino a forma di manto reale”. Secondo il giudice anche questo era «indizio certo di affezione alla idea della sovranità reale, e perciò alla famiglia deposta (di Luigi XVI)”.
Le suore non volevano accuse confuse, mescolate alla politica, e chiesero che fossero specificate, finché l’accusatore non specificò che erano fanatiche per “quella vostra affezione a credenze puerili: quelle vostre sciocche pratiche di religione”. Era il 17 luglio, giorno della Madonna del Carmelo.
Furono portate verso la ghigliottina, cantando la Compieta, il Miserere, il Te Deum e il Salve Regina. La prioria chiese e ottenne la grazia di morire per ultima, per poter assistere tutte le sue religiose. Prima di andare al patibolo, le suore cantarono il Veni Creator Spiritus e rinnovarono i loro voti. Un prete travestito da rivoluzionario aveva dato loro i voti.
Morirono una dopo l’altra. La priora aveva una statuetta di terracotta della Madonna nel cavo della mano, e stette a fianco al patibolo quando, una dopo l’altra, le sue consorelle venivano ghigliottinate. Quando venne il suo turno, diede la statuetta a un passante, e questa è stata conservata, è ancora oggi nel monastero di Compiégne”.
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Molte ragazze promisero, in cuor loro, di prendere il posto di quelle monache, beatificate il 27 maggio 1906 da San Pio X.
Papa Giovanni Paolo I, all'Angelus del 24 settembre 1978, ricordò l'esempio di queste Carmelitane e disse: “Restata per ultima, Madre Teresa di S. Agostino (la Priora) pronunciò queste ultime parole: ‘L'amore sarà sempre vittorioso; l'amore può tutto!’. [...]. Chiediamo al Signore una nuova ondata d'amore per il prossimo sommerso in questo povero mondo”.