L’usanza iniziale, legata alla penitenza più che al digiuno, è invece sempre rimasta a Milano, per cui si parla del “carnevale ambrosiano” nei giorni che a Roma sono i primi giorni di Quaresima.
Egeria, pellegrina a Gerusalemme alla fine del IV secolo, racconta che “si osservano otto settimane perché nei giorni di sabato e di domenica non si digiuna”. Quello di cui parla Egeria era un digiuno serio: “alcuni, avendo mangiato la domenica dopo il congedo, non mangiano più per tutta la settimana fino al sabato seguente”. Descrivendo il giovedì santo spiega che i fedeli insieme al vescovo scendono dal luogo dell’Ascensione fino al Getsemani, ma che le persone sono “stanche per le veglie e indebolite dai digiuni quotidani”.
In tempi moderni è stato Giovanni XXIII l’8 marzo 1962 a riproporre la tradizione antica di iniziare la Quaresima a Santa Sabina, pochi mesi prima dell’apertura del Concilio Vaticano II. Il rito risale alla Chiesa antica di Roma, quando il Papa celebrava ogni giorno di Quaresima in una chiesa diversa, in una “stazione”. In tempi moderni la Messa a Santa Sabina viene preceduta da una processione da Sant’Anselmo, costruita in stile antico ma solo alla fine dell’Ottocento.
Nell’VIII secolo sappiamo che la processione iniziava invece dalla chiesa di Sant’Anastasia tra il Palatino e il Circo Massimo. Forse la salita dal Circo Massimo all’Aventino dava il senso dello sforzo penitenziale. Il documento liturgico antico, il cosiddetto ”Ordo 22”, racconta che si cantava un’antifona che parlava di ” cinere et cilicio”. Si intendeva in senso simbolico, ma nel IX secolo si cominciava a usare le ceneri in senso letterale nei paesi renani, dall’XI secolo anche in Italia, e dal XII anche il Papa stesso si sottopone all’imposizione delle ceneri.
Altri Papi prima di Giovanni XXIII avevano già tentato di risuscitare l’antica liturgia stazionale, soprattutto Sisto V (1585-1590). Appena eletto nel 1585 decide di tornare a celebrare le antiche stazioni, almeno il Mercoledì delle Ceneri e le domeniche di Quaresima. I cardinali, abituati alle comodità della Cappella Sistina e di San Pietro, protestano “per la gran scomodità che ne seguirebbe, se ben era in uso di dare al tempo antico quando la corte di Roma non era in la presente grandezza”.
In un manoscritto conservato alla Biblioteca Vaticana si legge che i cardinali avevano anche paura di prendere freddo: “La qual gita hor qua hor la, et così lontano, senza riguardo di buono, o cattivo tempo, astringerà i cortegiani a metter penura nelle valdrappe fruste, et a far più conto delle cappe spelate”.
Esiste una testimonianza unica di questa riscoperta delle “stazioni” in un libro scritto proprio in quel momento, nel 1588, da Pompeo Ugonio, dal titolo “Historia delle Stationi di Roma che si celebrano in Quaresima”. Ugonio spiega la tradizione delle “stazioni”, che era stata rispolverata da Sisto V proprio in quegli anni, e descrive poi tutte le chiese stazionali. Si tratta di quelle parrocchie più antiche che in latino si chiamano “tituli” e ai quali ancora oggi sono legati i cardinali.
Di Santa Sabina, costruita nel V secolo e ancora oggi una delle chiese paleocristiane più famose di Roma, Ugonio racconta che Sisto V “sapendo, come gl’antichi Pontefici erano soliti di andar personalmente alle stationi, & quivi far car cantar la solenne Messa, ha determinato ogni anno il primo giorno di Quadragesima venire a questa chiesa, non per solamente visitarla, come da molti anni indietro si costumava, ma per celebrarvi la Cappella Papale, assistente il Collegio di Cardinali, & tutta la Corte.”.
Deve ricostruire tutto il presbiterio per far posto alla corte papale cinquecentesca, allontanando l’altare dall’abside “per tanto spatio quanto è necessario, & conveniente alla Cappella Papale, acciò il sommo Pontefice nel mezzo, & intorno i Cardinali possino sedere, & assistere al santo sacrificio della Messa”.
Per soddisfare l’estetica religiosa cinquecentesca si decide anche di chiudere molte delle finestre antiche, lasciando aperte solo tre su ogni lato. Saranno riaperte nel restauro di Antonio Muñoz 1914-1919. Nelle finestre chiuse da Sisto V, Muñoz ritrova le grate delle antiche finestre. Sono state restaurate e analizzate recentemente e presentate in una giornata di studio nel 2016. Si è scoperto che erano dipinte di blu, forse per imitare il cielo. Ancora si aspetta di sapere dalle analisi C14 se queste grate sono del V secolo oppure altomedievali. Ora due di queste grate sono esposte nel piccolo museo sopra il nartece di Santa Sabina, nella stanza che era il primo convento di San Domenico.
Iscriviti alla nostra newsletter quotidiana
Ricevi ogni giorno le notizie sulla Chiesa nel mondo via email.