Città del Vaticano , venerdì, 28. gennaio, 2022 15:00 (ACI Stampa).
Questo è l’interrogativo che in questi giorni affiora nella mente di tanti; giorni di grande sofferenza per Lui e per la Chiesa.
All’inizio del suo Pontificato (2005) egli volle dire di sé che si percepiva un umile servo nella vigna del Signore, pensando alla parabola riportata nel Vangelo di Matteo (21, 33-43). In quella parabola Gesù stigmatizzava il comportamento di chi, con la propria infedeltà, mandava in rovina quella vigna piantata con sacrificio e dedizione. In quella vigna, amata da Dio, per essere ben coltivata, il padrone aveva mandato degli operai. Essa gli apparteneva e gli operai avrebbero dovuto curarla e non impossessarsene.
Ho conosciuto Benedetto XVI personalmente soprattutto da quando, agli inizi del suo Ministero pontificale, mi chiamò a Roma dalle Filippine, dove un anno prima mi aveva destinato quale suo rappresentante pontificio. Ricordo bene il nostro primo incontro; era l’inizio del mese di luglio del 2007. Mi aveva nominato Sostituto della Segreteria di Stato, cioè uno dei suoi più prossimi collaboratori. Questo mi permise di frequentarlo almeno settimanalmente per parlare delle questioni che gli stavano a cuore e per ricevere opportune indicazioni su tanti aspetti della vita della Curia e della Chiesa.
All’ufficio del Sostituto era affidata anche l’organizzazione dei viaggi pontifici, così nei quattro anni che rimasi in carica, prima di nominarmi Prefetto della Congregazione delle Missioni nel mondo, ebbi modo di accompagnarlo nei vari Paesi in cui compiva i suoi viaggi apostolici.
In quegli anni emergeva con virulenza la ‘questione della pedofilia’ nella Chiesa. Non era nota nei termini con cui è poi gradualmente emersa. Ma fu per me sempre chiara la volontà di Benedetto XVI di affrontarla con determinazione.