E tuttavia: quale vescovo o teologo ha mai annunciato tale ricchezza più magnificamente di quanto abbia fatto Michelangelo con questa Pietà intorno al 1500!?
Ma celebrando noi oggi anche la festa del santo vescovo e Padre della Chiesa Francesco di Sales, il patrono dei giornalisti, mi sia permesso di raccomandarvi queste quattro parole del Vangelo che anche a me stanno particolarmente a cuore: “Rimanete nel mio amore!”
È la singolare rettifica della nostra concezione dell’amore che con queste parole oggi Gesù ci affida: “Rimanete nel mio amore!”
Che significa?
Di solito intendiamo l’amore in modo diverso e in genere in modo più limitato; quasi fosse la particolare qualità di un rapporto e che in qualche modo è linearmente orientato a un fine: quasi fosse un’attività, un’azione. Amo questa o quell’altra persona. Il marito ama sua moglie, e viceversa, e così via, non di rado tutto poi finendo purtroppo con un: “Non ti amo più!” Con Gesù al contrario sperimentiamo l’amore in modo vasto e pieno, come un modo di essere: come uno spazio aperto che dà all’amato l’aria per respirare, che gli assicura una patria e una dimora.
L’amore che Cristo ci affida culmina nell’ amore per il proprio nemico – oltre qualsiasi schieramento di campo e appartenenza di partito.
Questo amore è più grande di ogni altra cosa: più grande anche della morte che vediamo qui, sopra questo altare.
Questo amore è la cosa più grande in assoluto. Chi tuttavia ritenesse che questo amore sia riservato esclusivamente all’Altissimo e sia di una o due misure troppo grande per noi uomini, dovrebbe posare lo sguardo sull’epilogo del Vangelo di Giovanni che ci offre forse una della più belle definizioni di amore in assoluto, quando Gesù chiede a Pietro: “Simone, figlio di Giona, mi ami?”
Poco prima avevamo letto che quel medesimo apostolo, pochi giorni prima avesse rinnegato Gesù tre volte, e proprio nell’ora di maggiore difficoltà; sino ad affermare, fra imprecazioni e spergiuri: “Non conosco quell'uomo!”
Ora però Pietro gli dice: Si, ti amo.
Ma Gesù glielo chiede una seconda volta e poi un’altra ancora. E alla terza volta Pietro rimane addolorato e dice: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene.”
La tristezza e le lacrime del principe degli Apostoli non testimoniano forse che egli veramente dice il vero e che realmente ama Gesù, nonostante il suo tradimento? In ogni caso subito dopo il Signore gli affida il suo gregge, vale a dire la sua Chiesa, noi.
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I peccati dell’apostolo non sono dunque in contrasto o costituiscono persino un motivo di esclusione dal vero amore o la sua fine; no, anche la disperazione trova spazio nel vero amore, anche l’allontanamento e il rinnegamento, perché nel vero amore trovano spazio e dimorano anche il perdono e la remissione.
Questo testamento di Gesù è più grande dell’imponente Basilica di San Pietro al centro dell’universale Chiesa cattolica, è più prezioso delle più belle meraviglie artistiche del mondo intero – anche dell’imparagonabile tesoro di questa magnifica Pietà.
Questo amore, e nient’altro, è “l’imperscrutabile ricchezza” di Cristo di cui parla Paolo quando ci, e vi, conferisce la missione di impavidamente “annunciarlo in tutto il mondo”. Amen