I vescovi europei hanno fatto riferimento alle parole di Papa Francesco, che ha parlato di Ucraina in un appello al termine dell’Angelus del 12 dicembre e poi nell’urbi et orbi di Natale e nel discorso di inizio anno al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede.
La Santa Sede ha guardato con attenzione anche ai colloqui con il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e il segretario di Stato USA Antony Blinken. Ed è proprio dagli Stati Uniti che è venuta una voce forte, quella dell’arcieparca di Philadelphia Borys Gudziak, della Chiesa Greco Cattolica Ucraina. Questi ha preso una posizione netta, notando in una intervista a The Pillar che il conflitto eventuale non riguarda né la difesa di coloro che parlano russo in Ucraina, né la Chiesa Ortodossa Russa, ma piuttosto è un attacco all’Ucraina come una democrazia “nascente e vibrante”, dove c’è una stampa libera, con elezioni democratiche.
Gudziak ha notato che il presidente russo Vladimir Putin ha detto che “la più grande catastrofe geopolitica del 20esimo secolo e che lo vuole ricostuire”, ma questo significa “impero e totalitarismo”, e tutto questo è minacciato dalle democrazie.
Gudziak ha detto che Putin vuole essere sicuro che “la democrazia non si diffonda nemmeno in Bielorussia”.
Parlando dell’atttuale situazione in Ucraina, Gudziak ha denunciato che ci sono 1,5 milioni di sfollati interni in Ucraina. Ha detto che l’Ucraina è un popolo resiliente, specie se si conta che circa 15 milioni di residenti nei territori ucraiini sono stati uccisi nel XX secolo.
Il mandato della Chiesa Greco Cattolica Ucraina – ha detto l’arcivescovo Gudziak – è quello di portare avanti “un ministero di solidarietà, ascoltando le persone, toccando le loro ferite, cercando di dare cibo agli affamati e vesti e tetto a quanti hanno perso casa.
FOCUS CAUCASO
Il Nagorno Karabakh tra i temi degli incontri vaticani della delegazione del Consiglio Religioso di Azerbaijan
Il Consiglio religioso di Azerbaijan è stato la scorsa settimana in visita in Vaticano, dove ha avuto colloqui con Papa Francesco, con il Cardinale Pietro Parolin e con il Cardinale Miguel Ayuso, nonché con il Cardinale Gianfranco Ravasi e il Cardinale Mauro Gambetti. Tra i temi toccati durante gli incontri, quelli del conflitto in Nagorno Karabakh, degli attacchi al patrimonio culturale e religioso in Nagorno Karabakh e della pace con l’Armenia.
La delegazione ha presentato gli esiti della visita in una conferenza stampa lo scorso 17 gennaio. L’ambasciatore Rahamn Mustafayev, che rappresenta Baku presso la Santa Sede, ha definito l’incontro con il Papa come “molto fruttuoso”, e ha sottolineato di aver affrontato la situazione nella regione anche durante i colloqui in Segreteria di Statto con il Cardinale Parolin e con il “ministro degli Esteri” vaticano, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher.
Mustafayev ha anche sottolineato la collaborazione con il Pontificio Consiglio della Cultura, che ha visto la fondazione legata alla moglie del presidente Alyev impegnarsi nel finanziare il restauro delle catacombe di Marcellino e Pietro e della Pala d’Altare di Papa Leone Magno, del V secolo, e di una opera dell’Algardi ma anche quello di 27 antichi manoscritti della Bibliotteca Apostolica Vaticana, nonché un monumento in Vaticano dell’Algardi.
Sheikh-ul-Islam Allahshukur Pashazade, presidente dell’organizzazione, ha ricordato che le relazioni tra Santa Sede e Azerbaijan, molto buone e sono cominciate sin dall’indipendenza dell’Azerbaijan dall’Unione Sovietica. Lo sceicco ha denunciato al Papa la situazione in Nagorno Karabakh, sottolineando che durante il conflitto e quella che viene chiamata “occupazione armena” le chiese ortodosse sono state distrutte e 64 moschee sono state rase al suolo. Lo sceicco ha detto che “non sono stati distrutti solo i siti religiosi, ma la nostra cultura”.
Altro tema di conversazione con Papa Francesco ha riguardato la questione delle mine: secondo gli azeri, da parte armena sono state fornite mappe incomplete sulla dislocazione delle mine.
Lo sceicco ha denunciato che la Chiesa Apostolica Armena sta “cercando di far percepire questo conflitto come una questione religiosa, ma questo è un conflittto politico”. Lo sceicco ha anche ricordato che più di 20 mila armeni vivono in Azerbaijan e hanno “eguali diritti con tutti”.
L’Archimandrita Alexey, a capo della Chiesa ortodossa in Azerbaijan, ha voluto sottolineare che la presenza cristiana in Azerbaijan risale al I secolo, e che dal IV secolo il cristianesimo è riconosciuto tra le religioni dello Stato nonostante l’avanzarre dell’Islam. L’archimandrita ha voluto anche sminuire l’eredità culturale armena nella regione, affermando che “la Chiesa dell’Azerbaijan, dall’Albania Caucasica, fu costretta a stringere alleanza con la Chiesa Apostolica Armena, e questo dà loro una ragione per reclamare una eredtà che contraddice i dai storici”.
L’Archimandrita ha denunciato la distrtuzione di circa 70 moschee, e il danneggiamento di vari templi e chiese ortodosse, a partire dalla chiesa ortodossa della Trasfigurazione del Signore, costruita nel 1960 e usatta come ostacolo da un battaglione armeno. L’archimandrita ha anche affermato che “nulla minaccia i monumenti cristiani del Karabakh, e la popolazione cristiana può vivere in pace se abbandona la retorica separatista e inizia a costruire una vita pacifica”.
Il vescovo Vladimir Fekete, prefetto apostolico di Baku, ha voluto invece ricordare che la Santa Sede è stato uno dei primi Paesi a stringere rapporti diplomaici sotto la Santa Sede, e ha spiegato che i cristiani possono vivere “in modo pacifico, con grande apprezzamento da parte del governo”.
L’ambasciatore Mustafayev ha poi affermato che l’Azerbaijan è aperto al dialogo, e ha voluto portare questo modello di collaborazione anche al Papa, perché “Sua santità ha dei rapporti buoni sia con Azerbaijan e con Armenia, e dunque siamo aperti a discutere delle questioni della pace post conflitto e di un trattato tra Arrmenia e Azerbaijan”, per cui la Santa Sede può “stabilire un ponte”.
L’ambasciatore ha sottolineato che si parla di una “situazione post-guerra”, e non più “di una risoluzione del conflitto in Nagorno Karabakh, perché è già stato risolto”, con la liberazione dei territori occupati dell’Armenia.
Nagorno Karabakh, la prospettiva armena
Tuttavia, per l’ambasciatore Garen Nazarian, che rappresenta l’Armenia presso la Santa Sede, il conflitto in Nagorno Karabakh non è finito, e dunque – denuncia – “l’Azerbaijan ha cercato di confondere gli interlocutori in Vaticano”. L’ambasciatore Nazarian ricorda che il gruppo OSCE di Minsk, che sta mediando nel conflitto, ha dichiarato di “riaffermare il suo impegno a lavorare con le parti per ttrovare soluzioni globali su tutte le questioni rimanenti in relazione e in conseguenza al conflitto in Nagorno Karabakh, secondo il mandato di promuovere un futuro sicuro, stabile, prosperoso e pacifico per la regione del Caucaso del Sud”.
L’ambasciatore sottolinea che “più di un anno dopo la fine della guerra di 44 giorni, l’Azerbaijan continua ad ignorare apertamente i suoi impegni internazionali e obblighi sottto la legge umanitaria internazionale”, e accusa le autorità azere di “continuare a detenere illegalmente più di cento prigionieri di guerra armeni e civili”, nascondendo “il reale numero dei prigionieri di guerra, mettendoli a rischio di sparizione forzata”.
Nazarian ricorda che la settimana in cui c’era la visita della delegazione azera in Vaticano è coincisa con il 32esimo anniversario dei “Pogrom di massa contro gli armeni cominciatia Baku nel 1990”, culmine di “politica di annichilimento e sfollamento forzato della popolazione armena che viveva in Azerbaijan,” e che portò alla morte, mutilazione e scomparsa di centinaia di persone e portò mezzo milioni di armeni a scappare e diventare rifugiati. Un massacro che viene “constantemente negato”, così come vengono negati altri “crimini di odio” contro gli armeni in quello che viene definito l’Azerbaijan “multiculturale e tollerante”, afferma l’ambasciatore.
Per quanto riguarda la mediazione della Santa Sede, Nazarian ricorda che il Papa ha fatto numerosi appelli perché si scongiurasse il conflitto in Nagorno Karabakh (Artsakh, secondo l’antica denominazione armena), e denuncia che “numerosi video e foto pubblicate anche sui social media armeni sulle atrocità contro la popolazione civile di Artsakh, sugli atti di vandalismo contro le chiese, i siti religiosi e i monumenti armeni e la loro deliberata distruzione”. In particolare, fa riferimento alla Chiesa del Salvatore a Shushi.
L’ambasciatore Nazarian accusa anche il reclutamento di foreign fighters jihadisti dalla Turchia e da altri hot spot in Medio Oriente, in particolare in Libia, un fatto “non solo confermatto dal’intelligence del gruppo OSCE di minsk”, ma anche da “testimonianze dirette dei terroristi che hanno fornito informaziioni dettagliate sul processo di reclutamento e il pagamento mensile previsto per la lotta conttro gli infedeli e gli extra per la decapitazione degli infedeli”. Questo stesso trasferimento ha “rivelato – secondo l’ambasciatore – le intenzioni della leadership turco-azera di dare al conflitto un carrattere interreligioso”.
Rispondendo alle dichiarazioni dell’archimandrita Alexey, Nazarian ha voluto ricordare che “migliaia di monumenti storici, culturali e religiosi dell’Armenia sono entrati sotto il controllo militare dell’Azerbaijan” dopo il conflitto del 2020, e che ora questi monumenti “sono in pericolo di annichilazione, dati i numerosi precedenti della loro deliberata distruzione in Azerbaijan”, mentre lo setsso Azerbaijan sta “portando avanti la politica di “falsificare fatti storici e appropriarsi dell’eredità culturale della popolazione armena, presentando i monumenti armeni in Arstakh come ‘albano caucasici’,” una distorsione che Nazarian non manca di definire come “razzia culturale”, nonché una “patente violazione dei rilevanti strumenti legali internazionali”.
Nazarian afferma che “le migliaia di monumenti religiosi e secolari armeni nella regione sono stati eretti secoli prima della creazione dell’Azerbaijan e hanno nientte a che fare con l’identità azera”, e denuncia che “l’Azerbaijan si è comportato in maniera simile nei confronti dei monumenti georgiani, reclamando che alcune chiese del complesso del monastero David Garej come loro”, mentre allo stesso modo sta ostacolando “l’implementazione della missione UNESCO nella regione, perché è ovvio che l’Azerbaijan non potrà porvare l’origine azera dei monumenti dell’Alto medievale”, mentre è “un fatto indiscusso che le chiese nella regione appartenevano alla Cheisa Armena e ai suoi seguaci”.
FOCUS MULTILATERALE
Papa Francesco incontra il direttore generale della FAO
Il 20 gennaio, Papa Francesco ha ricevuto il direttore generale della FAO Qu Dongyu. Quest, in un tweet, ha ringraziato il Papa per la “continua passione per il mandao della FAO”, e ha sottolineao di essere “uniti nell’impegno di lavorare verso un più efficiente, inclusivo, resiliente e sostenibile sistema agroalimentare, per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, non lasciando nessuno indietro.
Secondo un comunicato stampa FAO, il Papa si è congratulato per i successi della FAO nel 2021 e ha ribadito il supporto per gli sforzi FAO per combattere la fame nel mondo durante questo periodo complesso.
“Il direttore generale – si legge ancora nel comunicao – ha espresso profondo apprezzamento a Papa Francesco per la sua continua passione e supporto per il mandato della FAO e delle sue iniziative”.
Nella conversazione, Qu Dongyu ha spiegato al Papa che “milioni di persone sono state colpite dalla pandemia e i conflitti del 2021, e che i vulnerabili hanno bisogno di urgente assistetnza per trasformare i loro sistemi agroalimentari in modo da meglio supportare gli shock improvvisi come quelli vissuti durante la pandemia COVID-19 e la crisi climaica”.
Qu Dongyu ha detto che “il cibo è un diritto umano fondamentale”. Papa Francesco ha, dal canto suo, espresso “la sua preoccupazione che il mondo è ancora lontano dalla pace e dalla tranquillità, a causa di disastri naturali, conflitti regionali e instabilità politica che hanno costanetmente luogo”. Il Papa ha dunque enfatizzato – si legge nella nota FAO – che “le Nazioni Unite e le sue agenzie specializzate, come la FAO, hanno un ruolo significativo da giocare per arrivare agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”.
Il Papa ha anche sottolineato che “la fraternità e l’amicizia sociale sono i modi di cosrtuire un mondo migliore, più giusto e pacifico, con il contributo di tutti: persone e istituzion”.
Il Papa ha donato a Qu Dongyu l’enciclica “Fratelli Tutti”, e Qu Dongyu ha invitato il Papa a parlare al World Food Forum 2022 al quartier generale FAO. Il Papa ha accettato l’invito.
Tra le altre cose, la FAO è stata partner della Rome Call of AI Ethics sull’intelligenza artificiale, promossa da Papa Francesco e co-firmata da FAO, IBM e Microsoft.
FOCUS EUROPA
Francia, i vescovi cattolici prendono la parola in vista delle presidenziali di aprile
In vista delle elezioni presidenziali di aprile, i vescovi cattolici francesi hanno preso la parola con un tetsto di 60 pagine intitolato “La speranza non delude”, come sempre fanno dal 2006 in occasione delle elezioni del presidente della Repubblica.
Nell’introduzione del documento, i vescovi sottolineano che l’epoca attuale però “è stata segnata dalle rivelazioni sulla portata degli abusi sessuali commessi in ambito ecclesiale, che hanno messo in discussione la credibilità della parola episcopale”.
I vescovi riconoscono di aver “fallito”, dicono di volersi esprimere “con umiltà”, senza dare indicazioni di voto, ma sottoleando che “astenersi dal voto è una violazione di responsabilità” nei confronti di una società che rischia di “fratturarsi” perché “divisa e abitata da violenze latenti”.
Il testo è diviso in sette capitoli, sui temi “vivere insieme in pace”, il “rispetto incondizionato di tutta la vita umana”, la “promozione della libertà, l’uguaglianza e la fraternità”, il ruolo delle religioni nella società, l’ecologia.
Al termine di ogni capitolo delle domande che vogliiono essere punto di discussione. Il tema bioetico è particolarmente importante: i vescovi sono stati impegnati negli Stati generali d bioetica, hanno combattuto la nuova legge frrancese sull’eutanasia, e così sul fine vita i vescovi hanno segnalato la contraddizione tra “una certa esagerazione della salute” e la “tentazione dell’eutanasia”. Attualmente, il disegno di legge che vuole prolungare il periodo per poter aborire da 12 a 14 settimane è in seconda lettura al Senato. Secondo i vescovi, questo disegno di legge costituisce “ulteriore violenza contro la società nel suo insieme, in particolare nei confronti dei più fragili o portatori di handicap”.
In questi tempi “duri e pericolosi”, i vescovi francesi mettono in discussione anche il progetto europeo, che – scrivono – deve “essere costantemente rivisto per non cadere nell’impotenza, nella deriva libertaria, nell’eccesso tecnocratico, nella rinuncia a promuovere veri valori morali”.
Spagna, riunione tra la presidenza e i vertici della Conferenza Episcopale
Il cardinale Juan José Omella, presidente della Conferenza Episcopale Spagnola, ha incontarto Felix Bolanos, ministro della presidenza, affrontando temi scotttanti come gli abusi del clero o la Legge sull’Educazione. L’incontro era parte di un ciclo di incontri che Bolanos sta tenendo con rappresentanti di tutte le confessioni religiose.
Sul tema abusi, il Cardinale Omella ha detto che le misure prese dalla Chiesa per contrastarle stanno dando frutti, menre Bolanos ha portato tutta la preoccupazione del governo per i casi che stanno venendo alla luce. Alla fine dell’ad limina dei vescovi spagnoli da Papa Francesco la scorsa settimana, Omella ha scartato l’ipoetsi di dare l’incarico ad una commissione per guardare dentro il fenomeno degli abusi in Spagna.
Altro tema, quello della Legge sull’Educazione. Secondo i vescovi, sull’iter della legge hanno pesato “le difficili circosatnze causate dalla pandemia e con alcuni ritmi esrtemamente accelerati”, cosa che non ha permesso “la partecipazione adeguata di tutta la comunità educativa e i differenti soggetti ecclesiali”.
In un comunicato, la Conferenza Episcopale Spagnola ha sottolineato che è necessario che la legge “offra un maggiore proetzione del diritto all’educazione e alla libertà di insegnamento, come viene stabilito dall’articolo 27 della Costituzione nella sua interpretazione giurisprudenziale.
Ultimo tema, quello dei beni della Chiesa. Il cardinale Omella e Bolanos hanno affrontato lo stato dei lavori delle tre commissioni create sul regime rtibutario, la Opera Pia di Roma e i beni immatricolati dalla Chiesa Cattolica. Quest’ultima commissione ha intensificato i suoi lavori.
Secondo un documento del governo, tra il 1998 e il 2015 la Chiesa ha immatricolato un ttotale di 34.961 beni, dei quali 20.014 sono chiese e o complessi dipendenti da loro e i restanti sono destinaiti ad altre funzioni.
Il Cardinale Puljic riceve l’onorificenza croata Re Dimitar Zvoimir
Il Cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo, ha ricevuto l’onorificenza croata del Re Dimitar Zvonimir conferetigali dal presidente Zoran Milanovic. Con l’occasione, ha dato una intervista alla radio nazionale croata, annunciando il suo prossimo pensionamento – Sarajevo ha già un vescovo coadiutore, Tomo Vuksic – e sottolineando che il suo “tempo è passato, ho amato il popolo e continuerò ad amarlo, ma ora devo lasciare ai più giovani di prendere il timone e lottare mentre iio rimarrò in loro appoggio”.
Nell’intervista, il Cardinale ha parlato anche dell’instabile situazione politica della federazione Bosnia-Erzegovina, minacciata dalle affermazioni del rappresentante della Repubblica serba Milorad Dodik che reclama una separazione dalla federazione. “Bisogna spiegare alla gente che tutti coloro che agitano le armi spendono tanto negli armamenti”, afferma. E aggiunge: “Dicono di combattere per uno Stato ma stanno calpestando le persone. La politica che fa una cosa del genere, è diabolica”. A suo avviso, “è necessario creare un clima più sano, perché quello attuale è avvelenato” e ribadisce “che non c’è altra scelta che vivere insieme. Nessuno basta a se stesso”.
Quello della situazione in Bosnia è un tema affrontato anche in Vaticano il 17 gennaio, durante la visita del presidente Komšić a Papa Francesco.
FOCUS AFRICA
Etiopia, si aggrava la situazione in Tigray
Si aggrava la situazione in Tigray, dove milioni di bambini soffrono di una grave malnutrtizione, altretttante persone sono ridotte alla fame, inclusi gli sfollati interni, denuncia il Segretariato Cattolico Diocesano di Adigrat (ADCS), in una dichiarazione raccolta dall’agenzia della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli Fides.
Dall'inizio di novembre 2020 fino a metà giugno 2021, l'ADCS e le congregazioni religiose operanti sotto l'Eparchia, hanno contribuito a salvare vite umane colpite dalla guerra, ma i numerosi vincoli (tra cui le restrzioni alla circolazione, il limite di prelievo di contanti, la carenze di forniture di base nel mercato) hanno permesso agli aiuti di raggiungere solo le città e le aree che si trovano attorno alle strade principali.
Dall'inizio degli scontri in Tigray, e in particolare dal 28 giugno 2021 fino ad oggi, la situazione nella regione ha creto una crisi senza precedenti, che ha portato anche alla disrtuzione psicologica di milioni di persone.
L’ADCS mette in luce che la diocesi cattolica di Adigrat, che copre l'intero Tigray, si trova immersa in una crisi estremamente allarmante che necessita di una risposta urgente da parte dei partner, delle altre organizzazioni umanitarie e della comunità internazionale.
I vescovi del Mali chiedono dialogo tra la giunta militare e i Paesi membri della Comunità Econmica degli Stati dell’Africa Occidentale
Il vescovo Jonas Dembele di Kayes, in Mali, ha sottolineato ai microfoni di Vatican News la necessità di un dialogo tra il suo Paese, governato attualmente da una giunta militare, e la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, perché questi sollevino le sanzioni economiche e permettano la sopravvivenza di una nazione che si trova praticamente al collasso.
Il vescovo Dembele ha dunque invitato “i decisori a pensare alle classi inferiori,a tutte quelle persone vulnerabili che hanno sofferto abbastanza e continuano a soffrire a causa della fame, della pandemia e soprattutto del terrorismo che continua a far piangere le famiglie”.
L’appello del vescovo fa seguito alle pesanti sanzioni economiche e diplomatiche inflitte al Mali dall’ECOWAS a seguito del colpo di Stato militare del 2020, che avev rovesciato il defunto presidente Ibrahim Boubacar Keita.
La giunta si è impegnata ad organizzare elezioni presidenziali il 27 febbraio 2022, terminando così questa parentesi militare, ma ha affermato di non poter rispettare i termini a causa della “persistente insicurezza del Paese” e chiede riforme preliminari “affinché le elezioni non risentano di contenziosi come le precedenti”. La crisi di sicurezza e politica è persistente in Mali dal 2012, anno in cui scoppiarono insurrezioni separatiste e jihadiste.
Il vescovo Dembele ha detto che la situazione è grave, che va riconosciuta l’impossibilità di organizzarer le elezioni e che questo lo sa anche anche la Missione Multidimensionale integrata di stabilizzazione delle Nazioni Unite in Mali, MINUSMA.
Il vescovo Dembelé ha anche invitato la giunta militare al dialogo con i partiti politici e ha esortato tutti i maliani a mostrare moderazone, solidarietà, saggezza e preghiera.
FOCUS ASIA
India, i cristiani sono ancora sotto attaco
I cristiani continuano a subirer attacchi in India. Secondo il rapporto “Cristiani sotto attacco in India” diffuso lo scorso 18 gennaio, ci sono stati almeno 300 attacchi contrro i crstani negli ultimi nove mesi.
Presentando il rapporto, il vescovo Oswald Lewis di Jaipur ha notato che l’India è la nazione dove tutte le fedi hanno vissuto “in pace e armonia per secoli”, ma negli ultimi anni i gruppi minoritari sono stati presi di mira, specialmente i crisiani”, e che “l’inazione del governo incoraggia” i gruppi che perpetuano gli attacchi.
Il tema degli attacchi contro i cristiani è stato il convitato di pietra all’incontro tra il Primo Ministro indiano Modi e Papa Francesco il 30 ottobre 2021. Modi ha anche invitato il Papa a visitare il Paese.
FOCUS AMBASCIATE
Stati Uniti, Donnelly confermato ambasciatore presso la Santa Sede
Il 20 gennaio, il Senato statunitense ha approvato la nomina di Joe Donnelly come ambasciatore USA presso la Santa Sede. Donnelly era stato nominato per l'incarico lo scorso ottobre.
Democratico, senatore dell'Indiana per sei anni, Donnelly è parte della piattaforma "Cattolici per Biden" e ha studiato nell'università di Notre Dame, dove è stato insegnante part time mentre lavorava anche per il gruppo legale Akin Gump.