Dobbiamo fare un viaggio nel tempo, diciamo così. Siamo nel XV secolo. Giovanni Gerson, Gran Cancelliere dell'Università di Parigi, lascia scritto nel suo testamento che ogni giorno, il 23 di gennaio deve celebrarsi una messa in onore dello sposalizio di Giuseppe di Maria. Gerson muore nel 1429. Da questa data in poi, per onorare la sua memoria, nasce questa tradizione che si diffonde soprattutto a Parigi. I primi furono i Frati dell’Ordine Francescano che la misero nel loro breviario. Questo rituale, successivamente, è stato adottato dall’Ordine dei Servi di Maria, per poi entrare anche in quello del Carmelo. Da qui, pian piano, ma solo per devozione - ripeto - la festa ha coinvolto gli altri ordini religiosi. Quindi parliamo di una festività che non coinvolge tutta la Chiesa.
E dalla tradizione di questa festa, poniamo - invece - ora lo sguardo su Maria. Cerchiamo di entrare nello stato d’animo di questa fanciulla di pochi anni che sposa un uomo, Giuseppe della stirpe di Davide. Come era celebrato il matrimonio di rito ebraico?
Quello che ci dicono i Vangeli è che Maria era una vergine promessa sposa di un uomo della casa di Davide. Il Vangelo di Matteo, al capitolo primo ci dice: “Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo”. Esaminiamo prima di tutto la parola “promessa”: il matrimonio era un contratto stipulato da due famiglie. Il rituale aveva un rituale ben preciso. Che è poi lo stesso di oggi nella cultura ebraica. Il padre del futuro sposo andava in casa della sposa per “contrattare” il matrimonio. Se il padre della ragazza era d'accordo all’unione, versava del vino in una coppa da dare al futuro sposo. Ed era lui a mettere la coppa per terra. Se la ragazza era d'accordo, prendeva la coppa e beveva da quella stessa coppa. Questo, il rituale del matrimonio. Il ragazzo, “promesso sposo” sarebbe ritornato dopo un anno a prendere la sua sposa. Ed ecco spiegata la frase dell’evangelista “prima che andassero a vivere insieme”. Il tempo era dettato dal genitore della sposa. Solo lui aveva la possibilità di decidere quando i due sarebbero andati a vivere assieme. Ovviamente, in questo tempo, i due ragazzi non potevano unirsi intimamente. Da questo fatto, sappiamo bene che nasce tutto il dubbio di Giuseppe sulla verginità di Maria. Ma, in questo caso, il Signore non fa mancare la sua presenza nelle vite di questi due giovani: a Maria manderà l’Arcangelo Gabriele ad annunciarle il piano divino su di lei e sull’umanità intera; così farà per Giuseppe, mandando sempre un angelo ad annunciare quel famoso “non temere”.
Arriviamo, ora, al nostro oggi. I dati parlano di una crisi del matrimonio. Sono sempre meno i giovani che decidono di sposarsi. Qual è la sua analisi riguardo questo tema?
Per rispondere a una domanda del genere, mi viene in mente subito quel “non temere” che abbiamo analizzato prima. C’è molta paura del futuro, così come c’è molta paura - in una società sempre più liquida, come direbbe Bauman - del “per sempre”. C’è molto timore su questo “per sempre”! Ma, sotto questa “superficie” c’è qualcosa di ancora più profondo. Il discorso è legato alla conoscenza dell’amore, in maniera profonda. Ci si dovrebbe interrogare di più su cosa voglia dire amare che vuol dire anche sacrificio. Questa parola si cerca di scartarla, di non vederla nel mondo contemporaneo. Invece, sarebbe necessario approfondirla. La maturità dell’amore cosa significa? A questa domanda, noi cristiani, diamo una risposta ben precisa, guardando l’esempio di Abbà Padre che ci dona il Figlio, ci dona tutto il suo amore più grande. Il Padre ama immensamente il Figlio che ce lo dona. Il Figlio offre la sua vita, morendo in croce per tutti. Il Cristianesimo è capire che l’ amore di Dio è un amore in Croce che diviene Resurrezione. In sintesi: bisognerebbe riflettere di più su cosa voglia dire la parola amore e non avere paura di prendersi le responsabilità che questa parola implica.
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