Tbilisi , mercoledì, 5. gennaio, 2022 16:00 (ACI Stampa).
C’era anche il patriarca ortodosso Ilia, nel 1989, in piazza a sfilare contro il massacro di Tbilisi. E con lui c’erano anche giovani cattolici, e si disse anche una messa nella chiesa cattolica dei Santi Pietro e Paolo, l’unica che era rimasta in funzione durante il buio sovietico. Il massacro che unì la nazione unì anche le chiese, e non potrebbe essere stato altrimenti. Perché è la fede che tenuto in piedi il popolo georgiano, ed è su quella fede che si è costruita una nazione, la cui indipendenza è stata riconosciuta il 25 dicembre 1991.
Tra i costruttori della Georgia c’è stato anche il poeta Dato Magradze. Diversi i riconoscimenti per il poeta che è anche autore dell’inno della Georgia, e che per tre volte è stato candidato al Nobel per la letteratura. La sua è una poesia civile, profonda, in cui attualità e versi si uniscono. Ma è anche una poesia fortemente religiosa, centrata sull’essere umano, critica dello Stato e delle sue possibili derive totalitarie.
Non è un caso che l’Ambasciata di Georgia presso la Santa Sede abbia deciso di promuovere la traduzione del libro “Il ponte sull’orizzonte” (Giuliano Ladolfi Editore), un libro in cui oriente e occidente si fondono e in cui “la tradizione della patria – scrive l’editore – è profondamente radicata come il suo impegno politico”.
Un impegno politico che ha portato il poeta a scrivere Tavisupleba (Libertà), l’inno nazionale della Georgia, che ha appunto al centro il tema della fede.
Perché è la fede – secondo il poeta – che può emancipare il popolo, con il suo potere di mettere lo Stato e altri poteri terreni al loro posto. Come lui stesso scrive “lo Stato non cerca più l’uomo nei cittadini”.