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Greccio, il presepio e San Francesco d’Assisi

A colloquio con il Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, padre Massimo Fusarelli

Fra Massimo Fusarelli OFM |  | San Francesco Patrono d'Italia Fra Massimo Fusarelli OFM | | San Francesco Patrono d'Italia

Natale, Greccio e il Presepio. E si pensa subito a Francesco d’Assisi, il santo che nel lontano 1223, a Greccio, ricrea quel Mistero che è la nascita di un Dio fatto uomo. Immaginare cosa sia stato questo “evento” non è facile. Ci aiuta a comprenderlo meglio, il 121° successore del santo di Assisi, padre Massimo Fusarelli, Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori. Aci Stampa lo ha intervistato  per entrare meglio e con più profondità nel pensiero francescano del Santo Natale e di ciò che rappresenta il presepio, oggi. Non solo quello di Greccio.

Padre Massimo Fusarelli, San Francesco d’Assisi e Greccio. Binomio che rimarrà nella storia. Per sempre.  Qual è il suo significato nel nostro mondo d’oggi?

Quella di Greccio, prima di tutto, è un'immagine semplice. Ma, allo stesso tempo, potente.  Mi piace mettere in evidenza tre elementi del presepio di Greccio. Il primo: Francesco si muove, nella notte, verso la grotta, in compagnia dei suoi fratelli e di gente semplice, povera. Lui porta in quella grotta        un bue, un asino e un po' di fieno. Cammina nella notte e non ha paura di affrontare una montagna, solo con una fiaccola. Sembra che in questa immagine, ci dica di non avere paura di inoltrarci, di camminare nella vita, anche quando le cose non vanno, anche quando la speranza sembra venir meno. Anche oggi - che viviamo un tempo che per tanti versi può sembrare oscuro, con poco  futuro - San Francesco ci dice di non avere paura di camminare nell'oscurità perché abbiamo davanti una meta, un punto di arrivo.  Il secondo punto è: Francesco per fare ciò non è rimasto da solo ma ha camminato nella notte con i suoi fratelli. Il santo d’Assisi ci invita, dunque, a non aver paura di essere insieme. Papa Francesco lo ha detto con chiarezza nella sua Lettera Enciclica “Fratelli tutti”: nessuno si salva da solo, possiamo salvarci solo se ci consideriamo tutti davvero “fratelli e sorelle”. Abbiamo bisogno di questo cammino insieme!  Ecco, più che l’oscurità del nostro tempo, ci deve far paura il rimanere soli, solitari separati, staccati gli uni dagli altri.

E, poi, veniamo al terzo elemento.

Francesco a Greccio introduce in quell’anfratto di roccia un bue e un asino con un po' di fieno. Nient'altro. Non ci sono i personaggi del presepio. Francesco ha voluto vedere con i suoi occhi la povertà di Gesù, con quei simboli del bue e dell’asinello, unico mezzo per riscaldarsi. Ma Francesco a Greccio ci dice non solamente di non rimanere soli tra noi umani, ma anche di non distaccarci dalla creazione. Di essere  “insieme” nella e con la nostra “casa comune”, come l'ha chiamata Papa Francesco. Perché è “con” e “in” questa che possiamo trovare nuove vie per continuare a sperare e per riprendere il filo della  speranza. Francesco e Greccio, dunque, è un binomio molto ricco e ci parla davvero in tanti modi. Ancora oggi.

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Nella rappresentazione del Presepio di Greccio, possiamo dire di trovare un Francesco d’Assisi quasi bambino. Allora, cosa direbbe il Padre Serafico a un bambino, oggi?

Francesco, inginocchiato davanti al bambino di Betlemme, nella grotta di Greccio, ha le sembianze di un bambino, è vero. Eppure, nel 1223, in quel 24 dicembre, Francesco aveva ormai tra i 40 e 42 anni. Tra l’altro molto provato all’epoca, per via delle malattie che affliggevano il suo corpo. Eppure l'arte lo ha fissato con il volto di un bambino: perché?  Se guardiamo bene l’affresco di Giotto, Francesco - con il suo sguardo - cerca e incontra lo sguardo del Bambino di Betlemme. E’ come se l'infanzia di Gesù, la semplicità, l'umiltà di quel Bambino trasformasse Francesco. In questa scena, possiamo comprendere che - come poi accadrà anche a La Verna - chi ama è trasformato nell'amato, perché non rimane chiuso in sé stesso. Francesco a un bambino d’oggi direbbe: non rimanere da solo, non avere paura di guardare negli occhi l’altro! Non temere di cercare - con lo sguardo - chi come te è piccolo! E lo direbbe anche a noi perché in ciascuno di noi vive sempre quella parte di bambino ancora aperta alla sorpresa, allo stupore, alla novità! E inviterebbe ogni bambino:  a cercare nella scena del presepio quella semplicità, quell’umiltà, quella letizia, di cui il suo cuore ha bisogno; e a non aver paura di rimanere bambino, proprio oggi quando l'infanzia sembra rubata dai media e dalla tecnologia, da un mondo adulto e distratto.

Nel presepio troviamo espresso il valore della famiglia. Ultimamente, non possiamo negare che questo valore sia minato da diverse situazioni sociali, politiche ed economiche. Come ricordare, allora, il senso della famiglia? Il Presepio ancora oggi può essere uno strumento della memoria per questo valore?

Nel presepio vediamo la famiglia di Nazareth: Maria, Giuseppe e il Bambino Gesù. Se ci pensiamo bene però è una famiglia un po' particolare perché si tratta di una famiglia che si trova in cammino, lontana dal proprio paese, da Nazareth. Ed è una famiglia che non ha trovato posto in nessun luogo di accoglienza. Si è adattata addirittura al parto del primogenito in una situazione che, per certi versi, ha del drammatico.  E’ una famiglia anche dove è avvenuto qualcosa di incomprensibile: l'impensabile maternità fuori dal patto tra Maria e Giuseppe. Una maternità che da una parte ha dato a Maria una grande gioia, dall’altra anche una grande solitudine poiché dovrà essere lei a portare da sola quel peso che è anche dono.  Allora la famiglia di Nazareth non è una famiglia idilliaca, da quadretto, dove tutto va bene. E’ una famiglia reale che ha vissuto addirittura situazioni limite.   Il presepio di Betlemme, di Greggio, dice alla famiglia di oggi di non avere paura delle sue difficoltà che si presentano in ogni tempo. Come quelle di oggi, che ci possono sembrare più grandi di una volta perché non abbiamo più   - a livello sociale - i presidi che difendevano un certo modello di famiglia. Siamo chiamati ad assumerli questi contorni della famiglia, per convenzione, per crescita propria. Allora la Famiglia di Nazareth dice alla famiglia di oggi:  cerca la tua identità, cerca la tua natura.  Non solo per difenderla ma per promuoverla per diventare una famiglia capace veramente di accoglienza della vita, di amore e di promozione dell'uomo della donna e di apertura agli altri come hanno fatto Maria e Giuseppe con i pastori e i Magi. Tutto questo è un messaggio di speranza e di fiducia per la famiglia non per rimanere legati a un suo vecchio modello, ma per ritrovare nell'unione piena di un uomo e una donna un’unione feconda, con il dono dei figli: un’unione fedele che diviene parola di speranza nel nostro oggi.

 

San Francesco sceglie di fare un presepio vivente. Non fatto di statue. Possiamo dire che questo può divenire non solo simbolo del Natale, ma anche di un Cristianesimo vivo nella vita quotidiana di ogni persona in qualsiasi giorno dell’anno?

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E’ necessario dire - anche se non può piacere - che Francesco a Greccio non ha fatto un presepio vivente. Al suo tempo c'erano già rappresentazioni del presepio per quanto non ben definite, uniformi. Francesco non ha “fatto” il presepio. Francesco piuttosto ha voluto “vedere dal vivo” la povertà,             la condizione reale in cui Gesù volle nascere. Francesco ha portato in quella grotta di Greccio solo un bue e  un asino, a memoria del Vangelo. Non siamo sicuri che abbia portato un bambino o qualche rappresentazione del bambino. Ci dice, il Celano, infatti che  piuttosto il Bambino Gesù torna a nascere per la fede nel cuore di quanti vedevano la fede e l'amore di San Francesco per lui. Francesco ha voluto, nel concreto ambiente fatto da persone che erano accorse a Greccio (frati, uomini e donne, piccoli) vivere il Natale. Francesco ci invita non fare un presepio fatto di statuine. Questo sì lo facciamo ed è una bellissima tradizione. Ma richiama la vivacità, la bellezza della vita quotidiana: fa entrare Gesù veramente nella nostra storia!  Ci ricorda  che nessuno spazio dell'esistenza della vita è estranea all'incarnazione al dono che Dio ci ha fatto di sé nel suo Figlio Gesù. Non ci sono spazi della vita separati, profani o quasi indegni di ricevere la visita di Dio: per l'incarnazione, Dio è entrata nell'umanità e ha assunto una concreta natura umana per sempre. Così facendo si è unito alla nostra “fragile umanità”, come la chiama Francesco, per farci vedere attraverso di essa la ricchezza di un Dio che non solo non ha paura di ciò che è umano, ma ci vuole con sé: ci unisce a sé e ci dà sé stesso la sua stessa vita. Tutto qui è il messaggio del Natale! Non abbiamo bisogno di diventare veramente fino in fondo umani perché qui troviamo la presenza unica, nuova, piena di grazia, di Dio.