Erevan , martedì, 21. dicembre, 2021 16:00 (ACI Stampa).
La Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato lo scorso 14 dicembre all’Azerbaijan di prevenire e punire atti di vandalismo e profanazione contro l’eredità culturale armena durante il conflitto in corso in Nagorno Karabakh. Una posizione, quella del Tribunale, che rappresenta un nuovo approccio alla difesa del patrimonio culturale, non solo armeno, ma che, in quella lingua di terra chiamata Nagorno Karabakh, nell'antico nome armeno Artsakh, rappresenta la speranza concreta che il patrimonio culturale non vada perduto.
La regione è contesa dagli anni Venti del secolo scorso, quando fu data dall’Unione Sovietica all’Azerbaijan, nonostante fosse a maggioranza armena. Con il collasso dell’Unione Sovietica, fu proclamata una nazione indipendente, un piccolo Stato tra Armenia e Azerbaijan non riconosciuto da nessuno, ma che aveva ovviamente il supporto dell’Armenia. Da qui, sono nati due conflitti, l’ultimo risoltosi in favore dell’Azerbaijan.
E così, mentre i confini del dopoguerra ancora non sono precisamente delimitati, mentre resta in bilico la questione dei prigionieri di guerra (gli armeni chiedono almeno un conto esatto, gli azeri lamentano che quelli che sono stati fatti prigionieri non erano in guerra, ma in azioni di disturbo), la comunità internazionale dà un segnale per la preservazione del patrimonio armeno della regione.
Un segnale considerato importante, se si pensa che, con dati, numeri e ricerche, si è arrivati persino a parlare di un “genocidio culturale” avvenuto nel corso dell’ultimo secolo sul territorio dell’Artsakh. Da parte loro, gli azeri lamentano che in questi anni di indipendenza (o separazione, secondo il loro punto di vista), gli stessi armeni hanno distrutto o danneggiato moschee. Non solo. Gli azeri sottolineano che quel territorio non è armeno, ha piuttosto origini albaniano – caucasiche, e che dunque la loro etnia era sul territorio da sempre.
È una dialettica figlia di una guerra, e vanno ascoltate tutte e due le parti in causa. Poi si vedono i numeri. E quelli, sì, destano preoccupazione, e lasciano comprendere perché la Corte Internazionale Europea ha preso quella decisione. C’è, in particolare, una iniziativa nata alla Cornell University, negli Stati Uniti, e chiamata Caucasus Heritage Watch, che usa immagini satellitari per verificare e monitorare la situazione del patrimonio cristiano armeno nella regione, e i cui rapporti sono stati proprio utilizzati dalla Corte Internazionale Europea.