Addis Abeba , mercoledì, 15. dicembre, 2021 14:00 (ACI Stampa).
Le guerre africane nella contemporaneità, l’epoca della globalizzazione del XXI secolo, sono definite ‘guerre nere’ a causa della loro enigmaticità: conflitti le cui radici sono difficili da capire. In Europa e sui media occidentali in genere sono rappresentate come brutali e selvagge, dal sapore esclusivamente etnico e perciò stesso arcaiche, quasi incomprensibili.
Si tratta in realtà di conflitti molto più moderni di ciò che si potrebbe pensare, legati alle condizioni socioeconomiche e ambientali delle terre in cui scoppiano, dove si mescolano registri culturali e umani diversi. Le guerre africane sono politiche tanto quanto quelle degli altri continenti, e sono frutto delle trasformazioni che il continente sta vivendo fin dal volgere del millennio.
Ad inizio novembre mons. Seyoum Fransua Noel, vicario apostolico di Hosanna e direttore Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Etiopia, aveva lanciato un appello per la pace: “Sono profondamente addolorato per tutto quello che sta avvenendo nella regione del Tigray e nelle regioni accanto Amhara e Afar, anche se un in tutto il Paese si stanno registrando disordini da almeno un anno, ora degenerati in modo drammatico. Quando c’è un conflitto, le vittime sono i poveri, è necessario che ci sia un dialogo tra le parti per ristabilire un equilibrio sociale. La guerra è inutile, la gente sta soffrendo molto, occorre cercare la pace e la sicurezza”.
La situazione nel Corno d’Africa è drammatica: a un anno dallo scoppio della guerra in Tigray, il caos regna sovrano e la leadership del primo ministro Abyi sembra appesa a un filo. Gradualmente, l’area settentrionale dell’Etiopia, è sprofondata in una grave crisi umanitaria: migliaia di morti tra i militari dei due fronti e, soprattutto, tra la popolazione inerme; stragi, carneficine, stupri di massa, saccheggi e mutilazioni su innocenti; 5.200.000 abitanti (su circa 6.500.000) sono in stato di drammatica necessità alimentare mentre gli sfollati interni ammontano a 2.100.000 (a cui debbono aggiungersi gli oltre 60.000 fuggiti in Sudan).
Le spese militari sono salite ad oltre £ 500.000.000 in un anno e si è registrata la fuga degli investitori. L’abbandono di terreni, pascoli e bestiame in tante zone colpite dalla guerra e le ricorrenti carestie, ha creato una situazione di povertà e, mentre la crescita economica dal 10-11% del tempo pre-conflitto è calata al 2% del 2021.