Dendias ha aggiunto che Grecia e Santa Sede condividono “naturalmente” un particolare interesse comune nella protezione “dell’eredità religiosa e culturale, così come per la liberà religiosa”. E, in questo quadro, le due pari hanno parlato anche del problema della conversione di Santa Sofia a Istanbul in moschea, così come della chiusura della Scuola Teologica di Halki. Un tema, questo, caro al Patriarca Bartolomeo, che ha visitato la Grecia la settimana prima di Papa Francesco, e che ha discusso la questione anche durante la sua visita negli Stati Uniti, dove il presidente Biden non ha mancato di far avere il suo supporto.
Papa Francesco in Grecia, l’incontro con il primo ministro Mitsotakis
Il 6 dicembre, giorno della partenza dalla Grecia, Papa Francesco ha incontrato il Primo Ministro Kyriakos Mitsotakis. Secondo le relazioni della stampa locale, il Primo Ministro greco ha ringraziato Papa Francesco per la visita in Grecia e ha espresso apprezzamento per la convergenza in Grecia.
La stampa greca ha riportato anche parte della conversazione che il Primo Ministro greco ha avuto con il Cardinale Parolin nel bilaterale del 4 dicembre. Mitsotakis ha detto che i greci hanno ancora un ricordo vivido della visita di Papa Francesco in Grecia nel 2016, e ha detto di essere sicuro che il Papa avrebbe trovato la situazione a Lesbo “molto migliorata”.
Al Cardinale Parolin, che ha confermato che le sue informazioni dicevano che la situazione era molto cambiata, il premier ha detto che le autorità greche “hanno fatto un grande sforzo. Innanzitutto, abbiamo creato strutture migratorie dignitose per coloro che vivono nelle nostre isole. Perché, come saprà, la precedente struttura a Moria era un luogo da incubo. Ora Sua Santità visitare un’altra struttura che è comunque temporanea, ma che rispetta le norme igieniche ed è anche decente, e offre alle persone, che hanno attraversato disagi incredibili, l’opportunità di chiedere asilo in buone condizioni”.
Mitsotakis ha detto che la loro intenzione è di “costruire strutture moderne su queste isole e collaborare con l’Unione Europea per garantire l’attuazione di questo progetto”. Il Primo Ministro ha detto che la Grecia ha accolto migranti e continuerà a farlo, ma ha anche sottolineato la necessità di collaborare con la Turchia “per garantire un’ulteriore riduzione dei flussi e per smantellare i circuiti dei traffici che, di fatto, stanno strumentalizzando la sofferenza dei disperati”.
La Grecia – ha aggiunto – vuole “garantire che ci siano rotte migratorie legali”. Mitsotakis ha poi accennato all’accoglienza della Grecia a 700 famiglie afghane. Il Cardinale Parolin ha chiesto se queste sono venute direttamene da Kabul, e il primo ministro ha risposto che sono venuti dalla capitale afghana passando da altri Paese. Il segretario di Stato vaticano ha dunque chiesto se è molto difficile uscire da Kabul.
Il Primo Ministro ha risposto che è stato “qualcosa di veramente difficile”, portata avanti con “organizzazioni non governative internazionali”, e sottolineato che “quello che sta succedendo in Afghanistan è qualcosa di veramente triste, soprattutto dopo tutti i progressi che sono stati fatti negli ultimi anni riguardo ai diritti delle donne.
Al bilaterale, oltre al Cardinale e al Primo Ministro, erano presenti il ministro degli Esteri Dendias, l’ambasciatore Eleni Sourani, consigliere diplomatico del Primo Ministro, e l’ambasciatore di Grecia presso la Santa Sede Panos Kalogeropoulos.
Per la Santa Sede, erano presenti l’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della segreteria di Stato vaticano; l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati; e l’arcivescovo Savio Hon Tai-Fai, nunzio apostolico in Grecia.
FOCUS ISLAM
Una lettera di Papa Francesco per il re del Bahrein
A Manama per consacrare la cattedrale di Nostra Signora di Arabia, il sogno del vescovo Camillo Ballin, il Cardinale Luis Antonio Tagle, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, ha incontrato il re del Bahrein Hamad bin Isa al Khalifa e gli ha consegnato una lettera di Papa Francesco.
L'incontro tra il re e il cardinale è avvenuto il 10 dicembre, e vi hanno parttecipato anche l'arcivescovo Eugene Martin Nugent, nunzio apostolico in Kuwait, Qatar e Bahrein, e il vescovo Paul Hinder, amministratore del Vicariato apostolico dell'Arabia del Nord, che ha definito l'incontro come "molto cordiale".
I media ufficiali del Regno riferiscono che nella lettera inviata al Sovrano del Bahrain, Papa Francesco ha espresso “il suo ringraziamento e apprezzamento per l'apertura della Cattedrale di Nostra Signora d'Arabia", “elogiando l'interesse di Sua Maestà il Re nel rafforzare le relazioni tra diverse religioni e culture, e pregando Dio Onnipotente di preservare Sua Maestà il Re e il popolo del Bahrain, nonché di benedire gli sforzi di Sua Maestà per promuovere la pace e l'amore tra tutti”.
Sempre secondo i media ufficiali del Bahrein, ai saluti di Papa Francesco portati dal Cardinale Tagle, il re ha risposto ricambiando, elogiando il ruolo assunto da Papa Francesco “nel promuovere il dialogo e la comprensione tra le religioni e le civiltà, nonché nel promuovere i valori della fratellanza umana, della tolleranza e della convivenza tra tutti”, e confermando la volontà del Regno del Bahrain “di rafforzare le relazioni di amicizia e cooperazione esistenti” con la Santa Sede.
Il re, prendendo spunto dalla consacrazione di Nostra Signora di Arabia, ha voluto sottolineare che il suo regno da tempo incarna "il ruolo di civiltà e umanitario del Bahrein", e ha ribadito anche il desiderio di vedere una visita papale nel suo regno composto da 33 isole.
L'invito ufficiale a visittare il Paese è stato consegnato a Papa Francesco dallo Sheikh Khalid bin Ahmed bin Mohammed Al Khalifa, Consigliere di sua Maestà per gli Affari Diplomatici, ricevuto giovedì 25 novembre in Vaticano sia dal Papa che dal Cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin.
Santa Sede ed Al Azhar, un incontro per stringere ancora di più i rapporti
Il 4 dicembre, il Cardinale Miguel Angel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, è stato al Cairo dove ha avuto un incontro con il Grande Imam Ahmed el Tayyeb. I due hanno stabilito una road map tra Santa Sede e l’istituzione universitaria sunnita per continuare gli sforzi per combattere l’odio e l’estremismo.
Da quando la Santa Sede ha ristabilito i rapporti con al Azhar nel 2016, Papa Francesco e il Grande Imam al Tayyeb si sono incontrati personalmente cinque volte, e hanno firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi la Dichiarazione sulla Fraternità Umana, che è diventata la base per l’enciclica di Papa Francesco Fratelli Tutti e pilastro del lavoro diplomatico della Santa Sede.
Firmata con una istituzione sunnita, la Dichiarazione viene ora implementata anche in ambito sciita dopo l’incontro di Papa Francesco in Iraq con l’ayatollah al-Sistani, espressione dell’ala quietista della shia, e il successivo incontro tra il Grande Imam di Al Azhar e l’ayatollah al Sistani.
All’incontro tra il Grande Imam al Tayyeb e il Cardinale Ayuso ha assistito anche l’arcivescovo Nicholas Henry, nunzio della Santa Sede in Egitto. In una dichiarazione resa successivamente, il Grande Imam ha sottolineato che “la relazione tra al-Azhar e il Vaticano resta un modello efficace e reale per diffondere la tolleranza e la pace e affrontare l’estremismo, l’odio, la guerra e i conflitti”, ma ha ammesso che questa strada verso la pace è ricca di ostacoli.
Secondo al Tayyeb, il mondo ha assoluto bisogno dei valori di fraternità, coesistenza pacifica e rispetto per avere stabilità.
L’ultimo incontro tra Papa Francesco e il Grande Imam è avvenuto a Roma ad ottobre, a margine dell’incontro sul cambiamento climatico intitolato “Fede e Scienza: verso il Summit COP26”.
Tra gli impegni comuni, il ritorno ad un insegnamento religioso in modo da salvare il mondo dall’estremismo e dalle divisioni.
Secondo un comunicato stampa di al Azhar diffuso il 4 dicembre, Tayyeb ha detto che “leader e studenti hanno un dovere religioso e societario di affrontare i fenomeni negativi, specialmente riguardo aspetti morali”.
Comitato della Fraternità Umana, l’incontro con il segretario generale ONU Guterres
Il 7 dicembre, il Cardinale Miguel Angel Ayusi Guixot, che oltre ad essere presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso guida anche l’Alto Comitato della Fraternità Umana, è stato a New York per incontrare il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres.
Il Cardinale ha spiegato che il comitato punta a “favorire il bene dell’umanità intera, specialmente dei giovani, mentre Guterres ha ribadito il suo sostegno al lavoro del Comitato.
Nel pomeriggio del 7 dicembre si è svolto anche un incontro con Miguel
Ángel Moratinos, UN High-Representative for the Alliance of Civilizations, per verificare la possibilità di cooperare in varie iniziative.
FOCUS CHIESA E AMBASCIATORI
Verso un nuovo ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede
Indiscrezioni rimbalzate dalla Spagna fanno sapere che il governo spagnolo ha sottoposto al placet della Santa Sede la nomina di Isabel Celaà come nuovo ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede. Celaà è ex ministro dell’educazione e portavoce del governo, e prenderebbe il posto di Carmen de la Peña, diplomatica di lungo corso che rappresenta la Spagna presso la Santa Sede.
Sarebbe dunque Celàa, rimasta al governo di Pedro Sanchez fino al rimpasto di luglio scorso, a rappresentare la Spagna, in un momento particolarmente delicato nei rapporti tra Spagna e Santa Sede caratterizzato da una legge per l’eutanasia fortemente avversata dai vescovi spagnoli, la volontà di cambiare il concordato tra Spagna e Santa Sede del governo Sanchez e la questione dell’esumazione di Francisco Franco e della cacciata dei benedettini dalla Valle de los Caidos.
Celaà è una cattolica praticante ed è stata vicina al leader socialista e premier Pedro Sanchez sin dai tempi in cui questi era segretario generale del Partito Socialista. Dopo aver ricevuto il placet della Santa Sede, ci vorrà una nomina del Consiglio dei Ministri per formalizzare definitivamente il suo prossimo incarico.
Francia, il presidente dei vescovi francesi riceve la Legione d’Onore
L’arcivescovo Eric Moulins de Beaufort, presidente della Conferenza Episcopale Francese, ha ricevuto con grande discrezione lo scorso 6 dicembre la Legione d’onore dalle mani del ministro dell’Interno Gerald Darmanin. L’onorificenza arriva in un momento in cui la Chiesa di Francia è colpita da una bufera, dopo la pubblicazione del Rapporto CIASE sugli abusi che sarebbero avvenuti in ambiente ecclesiastico dal 1950 al 2020.
Anche Papa Francesco, nella conferenza stampa nel volo di ritorno da Cipro e Grecia, ha chiesto di contestualizzare il rapporto e di guardarlo con “l’ermeneutica dell’epoca”, tanto più che il rapporto è basato su stime e denunce avvenute anonimamente online e via lettera. Ma lo stesso Papa Francesco aveva prima di tutto chiesto scusa per gli abusi, e l’approccio che puntava a contestualizzare il rapporto e ad evitare gli attacchi ingiustificati alla Chiesa è quello che è plausibilmente costato il posto a Karine Dalle, chiamata appena tre mesi fa come sottosegretario e portavoce della Conferenza Episcopale Francese, e che è stato poi alla base degli attacchi all’arcivescovo di Parigi dimissionario Michel Aupetit, inchiodato “sull’altare dell’ipocrisia” (Papa Francesco dixit) per l’accusa di aver avuto una relazione con una donna quando era vicario nella capitale.
Anche l’arcivescovo Moulins de Beaufort aveva avuto una reazione abbastanza forte, difendendo il segreto della confessione che era invece stato messo in discussione dal rapporto del CIASE. Ma poi l’arcivescovo era stato convocato dallo stesso Darmanin e al termine del colloquio si era scusato per le sue “goffe” affermazioni.
Nasce in questo ambito l’onorificenza che – ha detto Darmanin – è stata data al presidente dei vescovi francesi per “il coraggio e la determinazione” che ha avuto nell’affrontare le questioni. Darmanin ha elogiato Moulins de Beaufort come “uomo di convinzione e dialogo” di fronte alle “difficoltà incontrate dalla Chiesa con la questione pedofilia”.
La Legion d’Onore è stata consegnata a Moulins de Beaufort nella sede della Conferenza Episcopale Francese a Parigi, e la data e la consegna da parte del ministro erano state “programmate già a fine agosto”, è stato precisato dal governo.
Si è trattato, per il governo francese, di un modo di dimostrare buone relazioni con la Chiesa Cattolica. Allo stesso modo, il Premier Macron aveva convocato i vescovi francesi nel 2016, è stato poi due volte in udienza da Papa Francesco e con il Papa ha avuto diverse conversazioni telefoniche.
Sono modi di distendere un rapporto difficile, perché la Chiesa – come testimoniano i rapporti dell’Osservatorio sulla Cristianofobia e il recentissimo rapporto dell’Osservatorio per le Discriminazioni e le Intolleranze Religiose in Europa – è costantemente sotto attacco in Francia. Anche le misure anti-pandemia in Francia hanno visto una pesante discriminazione della Chiesa cattolica, con i vescovi che si sono visti costretti a ricorrere al Consiglio di Stato.
FOCUS MULTILATERALE
La Santa Sede a Vienna, contro la discriminazione religiosa
Il Consiglio Permanente dell’OSCE ha nominato una presidenza in ufficio per combattere razzismo, xenofobia, antisemitismo, intolleranza e discriminazione contro musulmani, cristiani e membri delle altre religioni. Questo ufficio – i cui rappresentanti sono il Rabbio Andrew Baker, l’ambasciatore turco Mehmet Pacaci e Regina Polak – ha presentato lo scorso 9 dicembre un rapporto.
Durante l’assemblea, è intervenuto per la Santa Sede monsignor Janusz Urbanczy, rappresentante permanente della Santa Sede presso l’OSCE.
Secondo monsignor Urbanczyk, tutti gli Stati che “partecipano” all’assemblea “riconoscono che le questioni sollevate dai Rappresentanti Personali sono “partte integrale della nostra ricerca di generale sicurezza”, e lamentato che tutti gli indicatori confermano che le discriminazioni religiose “sono in crescita, sia ad Est che ad Ovest di Vienna”.
Secondo la Santa Sede, è importante ricordare che – come stabilito nella Decisione del Consiglio Ministeriale 9/09 – “le vittime dei crimini di odio possono appartenere sia a comunità maggioritaria che minoritarie”, e che “troppo spesso il termine di “minoranze” è usato come un fenomeno di vittime.
L’Ufficio per le Istituzioni e i Diritti Umani, nota monsignor Urbanczyk, ha una serie di dati che indicano che “le comunità cristiane sono estensivamente vittime di crimini di odio o di incidenti motivati da pregiudizi anti-cristiani negli Stai membri dove queste comunità sono la maggioranza”. La Santa Sede è pertanto “convinta che tutte le forme di intolleranza e discriminazione debbano avere uguale attenzione, senza considerare se siano dirette contro un gruppo di maggioranza o di minoranza”, in modo da escludere “ogni approccio parziale o selettivo”.
Monsignor Urbanczyk nota che la Santa Sede è “allarmata” dal numero crescente di “attacchi terroristici, crimini di odio e altre manifestazioni di intolleranza che colpiscono sinagoghe, moschee, chiese, altri luoghi di culto, cimieri e luoghi religiosi”, attacchi che rappresentano “gran parte degli atti di violenza motivati da antisemitismo e da pregiudizi anti-religiosi contro musulmani, cristiani e membri di altre religioni”.
La risposta a questi attacchi – secondo la Santa Sede – deve partire dal presupposto che gli Stati che sono parte dell’OSCE “hanno un dovere comune di garantire la protezione di queste comunità dagli attacchi”, e quindi auspica che l’Ufficio per i Diritti Umani arrivi a delineare linee guida che affrontino i bisogni di sicurezza delle comunità cristiane, così come è stato fatto nei confronti di ebrei e musulmani.
La Santa Sede si dice anche preoccupata dalla “crescente intolleranza e discriminazione affrontata da individui che vogliono vivere e agire in accordo con i dettati della loro coscienza ispirati dalle loro convinzioni religiose”, perché è un tipo di intolleranza che si sviluppa a partire da “stereotipi negativi sulla fede e il credo”, e sull’opinione che “i comportamenti ispirati dalla religione, come la circoncisione, la macellazione rituale, l’abito religioso e l’obiezione di coscienza non abbiano posto in una società moderna e secolarizzata”.
Si tratta, afferma la Santa Sede, di un pregiudizio che “ignora che la religione possa essere un fattore positivo e stabilizzante per le nostre democrazie”. Anzi, la preoccupazione per le forme di intolleranza e discriminazione non può “separarsi dalle preoccupazioni sulla libertà di religione” e pertanto la Santa Sede chiede che i rappresentanti speciali includano la libertà religiosa tra i loro “specifici temi di interesse”.
Santa Sede e Russia, una alleanza diplomatica contro la “diplomazia femminista”
In una strana alleanza con la Russia, la Santa Sede ha bloccato lo scorso 3 dicembre una risoluzione diplomatica internazionale preparata dalla Svezia sulla necessità di aumentare il ruolo delle donne nella risoluzione dei conflitti, secondo l’agenda della cosiddetta “diplomazia femminista”.
È stato il ministro svedese Ann Linde a lamentare che il testo è stato bloccato “da Russia e Vaticano”, dopo che era stato proposto come una risoluzione giuridicamente non vincolante all’OSCE, di cui la Svezia è presidente di turno.
Il testo bocciato non è stato reso pubblico, ma si sa che la dichiarazione si concentrava “sull’emancipazione economica delle donne”, mirando a rafforzare il loro posto nella società per promuovere la sicurezza globale e il loro ruolo nella risoluzione dei conflitti.
L’OSCE adotta pochi testi, perché questi devono avere il requisito dell’unanimità. La Svezia, comunque, non pensava che il testo avrebbe trovato l’opposizione della Santa Sede.
Ann Linde ha detto che Santa Sede e Russia “non sono d’accordo sul lavoro sui temi della parità di genere, di cui mi rammarico profondamente”. La Svezia ha preparato 20 risoluzioni, ma solo una sul clima è stata adottata, mentre un delicato testo sull’Ucraina è stato bloccato ancor prima di essere esaminato in plenaria per l’inevitabile veto di Mosca.
Un appello dalle donne cattoliche: la Santa Sede aderisca alla Convenzione Europea sui Diritti Umani
Fino ad oggi, la Santa Sede non ha aderito alla Convenzione Europea dei Diritti Umani. Ma oggi c’è un gruppo di associazioni femminili provenienti da Roma, Vaduz, Monaco, Milano, Colonia, Lione, Londra, Zagabria, Madrid, Barcellona, Innsbruck, Dublino, Lucerna che hanno cominciato a fare pressione in tal senso, con una lettera aperta pubblicata in vista della Giornata Internazionale per i Diritti Umani.
Tra i firmatari ci sono Ordensfrauen für Menschenwürde (Germania), Donne per la Chiesa (Italia), Maria 2.0 (Germania), Voices of Faith (Roma/Liechtenstein), Comité de la Jupe (Francia), Catholic Women Speak (Regno Unito), In Bona Fide (Croazia) la Revuelta de Mujeres (Spagna), Alcem La Veu (Spagna), We are Church (Irlanda), Wir sind Kirche (Austria), SKF Schweizerischer Katholischer Frauenbund (Svizzera).
Le firmatarie, ripercorrendo una sentenza che aveva garantito l’immunià della Santa Sede, allora hanno chiesto: “Se la Santa Sede è considerata uno Stato, perché non è membro del Consiglio d’Europa?”
La Santa Sede è infatti Osservatore Permanente del Consiglio, ma non membro. L’iniziativa delle donne, che ha trovato spazio tra le testate, è una iniziativa da non sottovalutare, anche per comprendere i possibili prossimi passi della Santa Sede.
Congresso nazionale dell’Unione dei Giuristi Cattolici, l’intervento di Parolin
Il 70esimo Congresso nazionale di studio dell’Unione dei Giuristi Cattolici ha avuto come tema “Gli ultimi: la tutela giuridica dei soggetti deboli”, e si è aperto con un videomessaggio del Cardinale Pietro Parolin, il quale ha chiesto che i “nuovi ultimi” sono i nuovi orfani, bambini “chiamati alla vita al di fuori di un rapporto naturale e stabile tra un uomo e una donna” o che “si trovano nel mondo senza genitori o vivono nelle gelide realtà di una provetta”. I migranti, invece, sono “i nuovi stranieri”.
Il Segretario di Stato Vaticano ha sottolineato ai Giuristi Cattolici che “il vero potere è il servizio”, e che il loro è un servizio peculiare, considerando che sono chiamati a a comprendere dove “le diverse debolezze in relazione non sono equamente garantite, dove la tutela del più forte nel rapporto ha preso la mano al legislatore”, cosicché il diritto è diventato legge come strumento di forza, “ius quia iussum” ("diritto perché imposto").
Il Cardinale Parolin ha anche sottolineato la richiesta costituzionale di rimuovere gli ostacoli che limitano l’uguaglianza dei cittadini, ma anche il principio di solidarietà-carità, vale a dire “dare oltre il dovuto, superare le prescrizioni del diritto”.