Questo collegamento tra diritto e fatti concreti è stato sottolineato con forza dal Cardinale Erdő. Il quale è entrato proprio nella concretezza di alcuni dei temi affrontati. “Mi ero dovuto occupare del consenso della costruzione delle chiesa – ha raccontato – perché un architetto fantasioso voleva costruirne una in un posto appariscente di Budapest, e non aveva nemmeno chiesto il permesso. Poi mi aveva attaccato sulla stampa dicendo che non lo permettevo”.
E poi, la questione della pastorale dei gruppi etnici, che è “tutt’oggi una grande questione”, spiega il Cardinale, tra l’altro tra i promotori di una Bibbia in lingua rom pensata proprio con questo scopo pastorale.
Il Cardinale, che è stato per dieci anni presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, sottolinea che al CCEE “parlavamo spesso degli immigrati cattolici che venivano per esempio dall’Africa, che avevano le loro usanze, la loro lingua e il loro bisogno di coltivare la vita comunitaria che portavano da casa”. E ha aggiunto che lui in particolare si è “occupato dalla diaspora ungherese sparsa nel mondo, dove i cattolici ungheresi di rito latino conservano ancora in molte parti le loro comunità e non capiscono come mai il vescovo non voglia riconoscere al loro gruppo una parrocchia”.
Ma – ha spiegato l’arcivescovo di Budapest – “nella Chiesa, la lingua non è solo un mezzo di comunicazione, ma anche uno strumento per arrivare al cuore di una persona e questo lo avevano già scoperto gli autori del Rinascimento e del XVI secolo”. Per questo “non è superfluo rispettare questo aspetto”.
Insomma, ogni studio è collegato la vita. “Spero – ha detto il Cardinale – di aver mostrato che il collegamento tra la storia giuridica e la nostra vita è tutt’oggi fondamentale”. E ha ricordato che, nella Chiesa, tutto è volto prima di tutto “all’incontro con Gesù come esperienza personale e spirituale, che abbiamo anche potuto sperimentare durante l’ultimo Congresso Eucaristico”.
Anche Patrick Valdrini, canonista, nota come nei testi del Cardinale risulti chiaro che “il diritto della Chiesa non si riduce ai diritti soggettivi, ma alla missione ricevuta da Cristo”, e che dunque si venga invitai ad “uscire da una concezione ristretta del diritto canonico”, andando a riprendere proprio l’ecclesiologia che è stata svuotata e assorbita proprio dalle discussioni del diritto canonico che sono scaturite dal primo codice sulle fonti del Diritto Canonico, pubblicato nel 1917. Un codice che, appunto, “mancava di riferimenti ecclesiologici”.
Il professor Gianfranco Ghirlanda, gesuita, ha invece affrontato il tema del cosiddetto “spirito del presbiterio” e della differenza tra presbiterato ed episcopato, e da come questa si è sviluppata anche dopo il Concilio Vaticano II. C’è, sottolinea, “differenza con la prassi dei primi secoli, durante i quali un vescovo nella sua città era circondato dai presbiteri. Questa differenza è dettata dall’evolversi della vita della chiesa
Monsignor Brian Ferme, Segretario del Consiglio per l’Economia, ha invece parlato della necessità di conoscere le fonti, ma soprattutto della necessità di contestualizzarle, e ha appunto affrontato della cura pastorale dei gruppi etnici con speciale riguardo alle loro lingue, presentato in un articolo che “offre un attento esame della storia della risposta della Chiesa che rende possibile un approccio più sfumato della problematica attuale”.
Infine il Vescovo Frans Daneels, segretario emerito del Supremo Tribunale della Segnatura, ha affrontato il tema della certezza morale nella pronuncia del giudice. “La spiegazione del Canone 1708 – ha affermato – indica che la certezza morale non è una opinione soggettiva, ma deve essere oggettivamente fondata”. E ha sottolineato che “nella normativa vigente sono presenti quasi tutti i mezzi necessari per costituire prova di un passo ben conosciuto dal giudice, cosicché un vero conflitto non dovrebbe presentarsi quasi mai”.
Il vescovo Daneels ha infine sottolineato: “La salvezza delle anime non è la salvezza spirituale dell’imputato, ma si riferisce al bene pubblico”.
Parole, in fondo, che dicono molto anche della crisi del diritto canonico di oggi. Fu Benedetto XVI, nella sua lettera ai cattolici di Irlanda del 2010 a mettere in luce che “il programma di rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano Secondo fu a volte frainteso”, che “in particolare, vi fu una tendenza, dettata da retta intenzione ma errata, ad evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari”. Fu la seconda deriva, dopo la crisi precedente dovuta alla mancanza di ecclesiologia. Ma la soluzione non è “meno diritto”. È piuttosto avere un diritto rettamente formato e indirizzato verso il bene comune. È questo, alla fine, quello che dice il libro del Cardinale Erdő.
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