Padova , venerdì, 12. novembre, 2021 18:00 (ACI Stampa).
Emerge dalle acque come un povero relitto ma agli occhi di chi lo vede e lo porta in salvo appare subito come un segno di speranza e di fiducia: un uomo che vaga su una barca nella sera lungo la distesa d’acqua che ricopre campi, paesi, case, intravede una forma indefinita sull’acqua ancorata ad un albero, ma non si ferma, perché la notte avanza e teme di non trovare la via del ritorno.
Quella notte, una notte del novembre 1951, cinquant’anni fa. E’ una delle tante, tragiche notti dell’alluvione del Polesine. Il pescatore che ha vagato tutto il giorno sulla barca non riesce a dormire, tra le tante immagini tristi che ha davanti agli occhi, c’è quella dell’’oggetto che galleggia nell’acqua, così di primo mattino parte con la barca per cercarlo. Lo ritrova e si accorge che si tratta di un crocefisso in legno impigliato nella chioma di un pioppo: lo pesca tutto emozionato, lo porta a casa, lo lava dai detriti e dal fango ed al mattino dopo lo porta al parroco di Lama Polesine. Il quale scoppia a piangere davanti a quel Crocifisso ed esclama: “Cristo è venuto fra noi per aiutarci”. Lo riconsegna a Duilio Braghin – questo il nome del “salvatore” del crocifisso - perché lo conservi a casa sua per il periodo dell’alluvione; in chiesa non si può perché si trova nella parte più bassa del paese completamente sommersa dall’acqua.
Intanto il parroco diventa don Ferdinando Altafini che, dopo varie e vane ricerche per trovare l’eventuale il proprietario del crocefisso, dice che quello è un segno di Dio che chiede di costruire una casa per Lui.
Tutto il paese si mobilita e chiede aiuto all’Italia e al mondo. Appelli che portano frutto: in poco tempo arrivano offerte da nomi noti come il “Sindaco Santo” di Firenze Giorgio la Pira e da papa Giovanni, dal presidente della Repubblica, alla regina d’Inghilterra, divi del cinema, banche, associazioni di artigiani, contadini, industriali. Così nasce la chiesa a Lama Polesine (o meglio il Tempio) che conserva il Cristo alluvionato e la devozione che ne sorta.
Questa storia straordinaria torna alla ribalta in questo periodo in cui si commemora il tempo e gli avvenimenti di quel tragico momento. Giorni e giorni di piogge ininterrotte, il fiume Po è il sorvegliato speciale, ma anche canali e scoli, che sono pieni di acqua; gli argini fragili e melmosi franano in più punti e la paura monta sempre più. Il 14 novembre del 1951, raccontano le testimonianze, ecco avanzare con un ruggito rabbioso dai campi la marea nera e melmosa; in un attimo tutto viene travolto e sommerso e alla fine quello che rimane è una infinita distesa di fango e di acqua sporca, dalla quale emergono solo le cime degli alberi, fra pianti, urla disperate, richiami che sembrano perdersi nel nulla. L’incubo non è certo finito, anzi è appena iniziato. Però quel Cristo di legno, sperso nella melma, sembra dire: non siete soli, Io sono qui, con voi. Si moltiplicano i piccolo gesti di amore, di speranza. Si rivede la luce.