Si decide così di chiudere l’accordo con Torzi, che negozia, per la vendita delle sue azioni, un prezzo di 15 milioni di euro. Torzi è attualmente uno degli imputati, accusato di estorsione. Così come lo è Mincione, con le accuse di peculato, truffa, abuso d’ufficio, appropriazione indebita e autoriciclaggio.
Per gli inquirenti, Mincione è “dominus indiscusso delle politiche di investimento di una parte considerevole delle finanze della Segreteria di Stato”. E imputato è anche Enrico Crasso, che ha gestito per diversi anni gli investimenti della Segreteria di Stato, e che ora si trova accusato dei reati di peculato, corruzione, estorsione, riciclaggio ed autoriciclaggio, truffa, abuso d’ufficio, falso materiale di atto pubblico commesso dal privato e falso in scrittura privata.
Sono imputati anche René Bruelhart, già presidente dell’Autorità di Informazione Vaticana, per il reato di abuso di ufficio, e Tommaso Di Ruzza, direttore della stessa autorità, per i reati di peculato, abuso di ufficio e violazione del segreto di ufficio. E ancora, Cecilia Marogna, che avrebbe operato in azioni di intelligence per la Segreteria di Stato, ricevendo somme ingenti in cambio, è accusata di peculato; e monsignor Mauro Carlino, già segretario del Cardinale Becciu in Segreteria di Stato, per estorsione e abuso di ufficio.
A spiccare, tra gli imputati, è il Cardinale Angelo Becciu, primo porporato ad essere giudicato da un Tribunale dello Stato di Città del Vaticano. Prima, i cardinali potevano essere solo giudicati dalla Segnatura, e da un collegio formato da tre porporati. Papa Francesco ha cambiato la norma lo scorso 30 aprile, stabilendo che i cardinali potessero essere giudicati anche da un tribunale ordinario. C’è comunque bisogno dell’assenso del Papa al processo, arrivato il 19 giugno, mentre il rinvio a giudizio è stato pubblicato il 13 luglio.
Il Cardinale Becciu è accusato di peculato ed abuso di ufficio, anche in concorso, nonché di subornazione (ovvero, avrebbe fatto pressioni su monsignor Alberto Perlasca per farlo ritrattare).
Gli interventi di Papa Francesco
Il cambiamento della legge per permettere il processo al Cardinale Becciu non è il solo intervento del Papa nell’ambito legislativo. Già in sede di indagine, Papa Francesco ha firmato quattro rescritti, quattro documenti che di fatto hanno sospeso alcune garanzie giudiziarie, tra cui il segreto di ufficio, per permettere la prosecuzione delle indagini in maniera sommaria, vale a dire, secondo una procedura autorizzata direttamente dal Papa.
I rescritti sono stati redatti il 2 luglio 2019, 5 luglio 2019, il 9 ottobre 2019 e il 13 febbraio 2020.
Con i rescritti, Papa Francesco sospendeva gli obblighi di segnalazione all’Autorità di Informazione Finanziaria, stabiliti dalla legge 18 del 2013; disponeva l’autorizzazione all’uso di qualunque strumento di intercettazione necessario; autorizzava l’utilizzo di qualunque materiale sequestrato senza che vi si potesse opporre vincolo di segretezza; e confermava per altri sessanta giorni le prerogative speciali date al Promotore di Giustizia.
Papa Francesco è intervenuto, dunque, con forza nel processo. Ma era intervenuto anche durante le trattative della Segreteria di Stato per rilevare da Torzi le azioni del Palazzo di Londra. Una foto, infatti, lo ritraeva proprio insieme al broker, che era stato nella Domus Sanctae Marthae proprio per negoziare la sua uscita dall’affare.
Inizialmente, è stato detto che il Papa non sapeva dell’investimento di Londra, e nemmeno aveva incontrato i protagonisti dell’operazione. Alla pubblicazione della foto di Papa Francesco con Torzi, era stato detto che il Papa aveva incontrato il broker, ma non sapeva dell’operazione. Infine, rispondendo all’Associated Press, il Tribunale Vaticano ha affermato che il Papa era entrato nella stanza dove c’erano i negoziati per la liquidazione delle quote di Torzi, e che il Papa era entrato invitando tutti a trovare una soluzione. Giuseppe Milanese, amico personale di Papa Francesco, stava conducendo la transazione su richiesta del Papa. E, parlando con Report, Milanese ha aggiunto un dettaglio: che il Papa aveva chiesto di concludere con “il giusto salario”.
La presenza di Papa Francesco ai negoziati, la sua insistenza ad intervenire e voltare pagina sono confermati anche dal memoriale dell’arcivescovo Peña Parra. Ed è un memoriale che potrebbe essere sostanziale nella difesa della Segreteria di Stato.
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Il ruolo della Segreteria di Stato
Il sostituto, entrato in carica nel novembre 2018, ha spiegato la sua posizione in un lungo memoriale di una ventina di pagine, con varia documentazione allegata. Nel memoriale, l’arcivescovo venezuelano, che si dice goda della fiducia di Papa Francesco, non si limita solo a ricostruire le vicende del Palazzo di Londra. Mette in luce un vero e proprio sistema a lui preesistente, racconta circostanze che dimostrano le sue affermazioni, riferisce che spesso le decisioni venivano fatte prendere in urgenza, e interrompendo riunioni in corso, proprio per indirizzare verso alcuni scenari già predestinati. Non solo. Accusa monsignor Alberto Perlasca, che era stato per 12 anni direttore dell’ufficio amministrativo della Santa Sede, di aver preso decisioni senza consultare superiori, di aver agito in combutta con Torzi, e di essere parte di un sistema che sfavoriva la Santa Sede.
Il sostituto difende le sue decisioni nel proteggere l’investimento di Londra, nota il lavoro che ha fatto nel riorganizzare le stesse finanze della Segreteria di Stato, e soprattutto spiega che la decisione di pagare per riprendere possesso del Palazzo di Londra era l’unica percorribile. Una causa legale sarebbe durata anni, e che con i contratti in essere sarebbe anche potuta concludersi in maniera sfavorevole per la Santa Sede. Avendo ripreso il controllo del Palazzo, avendo “ritarato” l’investimento secondo caratteristiche più consone alla Santa Sede (con ridestinazione d’uso), e nonostante l’accensione di un nuovo mutuo dovuta al fatto che lo IOR prima aveva accettato, e poi improvvisamente rifiutato, di finanziare l’operazione; insomma, in tutte queste circostanze l’investimento ora è più fruttuoso, e può portare un buon profitto nonostante le ingenti perdite.
La Segreteria di Stato ha comunque deciso di costituirsi parte civile al processo, perché dalle azioni di alcuni degli imputati avrebbe subito danni. Sarà da vedere quali saranno le conseguenze della scelta, se verrà provato in sede di processo che anche il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, aveva approvato le operazioni.
Le indagini
In questo senso, colpisce l’assenza tra gli imputati di monsignor Perlasca, che pure è stato indagato e interrogato sei volte, e che però non è stato ritenuto responsabile di crimini dai magistrati vaticani. Non si sa se abbia pesato, in questo, la sua attiva collaborazione con i magistrati vaticani, arrivata dopo una iniziale ostilità.